giovedì 27 novembre 2008

Capita sempre più spesso

"Non hai accettato la mia amicizia su Facebook..."
"Si, non l'ho accettata. E allora??? Saranno cavoli miei chi accettare o no???"

venerdì 21 novembre 2008

Blackle - Energy Saving Search

Ammetto la mia ignoranza: non conoscevo il progetto Blackle fino a quando non me ne ha parlato un mio collega questa mattina. Blackle è un motore di ricerca, basato sul Google Custom Search, che promette un risparmio energetico poiché utilizza pagine con sfondo nero che per caricarsi consumano meno energia di pagine con sfondo bianco. Secondo i suoi ideatori, l'utilizzo di Blackle su larga scala dovrebbe consentire di risparmiare parecchi megawatt l'anno.
Ultimamente sto cominciando a pormi sempre più domande sul consumo energetico e su come noi comuni mortali potremmo effettivamente contribuire a ridurlo.
Sempre maggiori sono gli stimoli al riguardo (vedi la bellissima campagna "Switch" di MTV), ma ancora poche le persone che effettivamente provano a fare qualcosa. E tra queste mi ci metto anche io che, pur sensibile all'argomento, sono tuttavia molto combattuto sull'efficacia o meno di comportamenti ECB (ovvero Energetically Correct Behavior, un termine che mi sono inventato e che mi piace) da parte dei comuni cittadini. Credo che anche se tutti adottassimo tali comportamenti, questi inciderebbero davvero in misura marginale sul problema globale. Ma lo dico da ignorante e senza avere dati alla mano, quindi potrei sbagliarmi. Comunque, pur rimanendo col dubbio, forse imposterò Blackle come default page del browser invece di lasciarla blank e stasera proverò a non lasciare la TV in stand-by prima di andare a letto. Per ora, di sicuro, spengo il mio Mac.

Fonte immagine: Blackle.com

martedì 18 novembre 2008

Internet distrae dal lavoro

O meglio, i social network (in primis il tanto amato-odiato Facebook) e gli instant messenger distrarrebbero così tanto dal lavoro che i vertici aziendali delle aziende coadiuvati da quelli informatici, con la scusa della sicurezza (ma che abbiamo tutti la sveglia al collo e l'anello al naso?), decidono spesso di bloccare l'accesso a tali "servizi" (vedi Repubblica.it).
Circa 10 anni fa lessi un libro in cui si parlava del rapporto spesso conflittuale delle aziende con internet (all'epoca i social network neppure esistevano) e mi illuminò la seguente frase: se le persone in azienda navigano su internet, non è internet il problema.
Una frase che forse i top manager dovrebbero interiorizzare e che potrei tradurre così: se la gente "cazzeggia", per usare un termine tanto in voga ultimamente, vuole dire che non ha niente da fare e che forse l'organizzazione del lavoro non è ottimale. Ma lo capisco: è sicuramente più facile bloccare l'accesso a internet che fermarsi a ragionare su strutture, organizzazione e ripartizione dei carichi di lavoro.
Per non parlare poi di chi, come molti di noi, proprio quegli strumenti tanto odiati (vedi i vari IM) li usano per lavorare perchè più veloci e più affidabile della posta elettronica.
Concludo con un messaggio per i vertici aziendali: bloccatemi pure l'accesso al mio mondo virtuale tanto, se non ho niente da fare, me ne andrò sicuramente a prendere più caffè nel mondo reale.

giovedì 13 novembre 2008

IAB o non-IAB: questo è il problema

Che faccio, lo scrivo o no un post sull'ultima edizione dello IAB Forum?
E cosa scrivo:
- che ho seguito il convegno di apertura e si è parlato per il 90% di argomenti inconstistenti?
- che ai workshop pomeridiani sembrava di assistere a delle televendite?
- che agli stand sembrava di essere più ad una fiera di paese che non ad un incontro di "gente" esperta, o presunta tale, di comunicazione digitale?
- che forse sarebbe il caso aprire davvero una finestra sul futuro della comunicazione digitale?
- che sarebbe interessante avere maggiori testimonianze di casi concreti con numeri e dati?
- che fare una previsione di un +20% di crescita per il 2009 dello spending in digital advertising fa comodo ai soliti noti?
Non lo so, devo pensarci se scriverlo o meno un simile post.

Fonte immagine: sito IAB Forum

lunedì 3 novembre 2008

OpenID e il concetto di privacy

Privacy online: quando se ne parla mi viene sempre da sorridere. E quando se ne parla tirando in ballo i soliti "noti" (Google, Microsoft e i vari compagni di merende) mi viene ancora più da sorridere.
OpenID, ovvero la possibilità (finalmente) di poter accedere con una unica "chiave" di accesso, passatemi la ripetizione, a tutti i servizi che utilizziamo online.
Tralasciando i tecnicismi sul suo funzionamento e concentrandoci invece sul tema della privacy legato all'OpenID, quello che noto è che si cominciano già a delineare due grossi schieramenti: chi finalmente non vede l'ora di avere questa unica "chiave di accesso" dimenticandosi per sempre svariate ID e password (alcune inevitabilmente perse nei meandri della propria presenza online) e chi invece ritiene che l'unicità di questa ipotetica, neppure più di tanto, chiave di accesso possa in qualche modo minare la propria privacy online.
Fermo restando sul fatto che mi trovo pienamente d'accordo che un minimo di privacy debba comunque essere garantita, se una persona ha davvero paura che quello che fa online possa in qualche modo essere "visto" da terzi (siano essi una fantomatica Big G, Microsoft, etc. etc.) allora non dovrebbe proprio essere online, non dovrebbe avere un account Gmail o un profilo MSN, non dovrebbe usare i vari messenger, non dovrebbe essere su Facebook... mi fermo qui altrimenti non mi basterebbe l'intero blog.
Leggevo qualche tempo fa di una ricerca condotta sui digital native e sulla loro percezione della privacy. Quello che mi stupì leggendo i risultati era che i giovani "digitali" non hanno tanto paura che alcune "aziende" o "istituzioni" possano in qualche modo conoscere i loro comportamenti online, ma hanno paura della violazione della propria privacy da parte della stretta cerchia di persone che in qualche modo gli sono vicine (genitori in primis): i digital native, insomma, hanno paura che un genitore possa sapere quello che fa online, con chi chatta, che siti vede, il proprio profilo su Facebook etc. etc. Delle "istituzioni" gliene frega il giusto.
Non credete sia il caso di cominciare a rivedere il concetto stesso di privacy come lo abbiamo conosciuto finora?