lunedì 30 giugno 2008

Google e il nuovo modo di apprendere


E' cambiato il nostro modo di leggere. Ed è cambiato grazie a internet.
Secondo un articolo di Nicholas Carr sul The Atlantic Monthly, la possibilità di avere a disposizione una mole insostenibile, per il nostro limitato cervello, di informazioni (internet) accessibile in maniera veloce e puntuale (grazie ai motori di ricerca, dove Google sicuramente la fa da padrone) porta ad una modalità di assorbimento delle informazioni in piccoli frammenti e quindi, a detta sua, all'incapacità di assorbire concetti complessi. E quindi, sempre a detta sua, a diventare più stupidi.
Come al solito, i mezzi di informazione ormai allo sbando titolano "Google ci fa diventare più stupidi" non rendendosi conto di quanto, invece, sia stupido l'aver scritto una cosa del genere. Primo, perchè non è dimostrata una correlazione diretta tra le diverse modalità di assorbimento delle informazioni e la stupidità; secondo perchè il focus dovrebbe andare verso la capacità di qualsiasi motore di ricerca (e non solo di Google) di aprire le porte dell'informazione ed è la mole delle informazioni che ci porta ad assorbirle in maniera diversa, non il motore di ricerca che ci fa arrivare alle informazioni; terzo, perchè non valorizza l'apporto all'accesso dell'informazione che è stato possibile proprio grazie ai motori di ricerca e a Google in particolare, visto il suo market-share.
Vi siete mai fermati a riflettere su cosa sarebbe internet senza i motori di ricerca? Forse in quel caso diventeremo stupidi a cercare le informazioni.

venerdì 27 giugno 2008

Radiohead e i new media

Giusto una settimana fa ero a Milano per il concerto dei Radiohead, un concerto che difficilmente dimenticherò per il gruppo in se, per la loro bravura live, per la compagnia e per una serie di altre cose che difficilmente si riesce ad incatenare a parole in un testo.
Ho da poco ricevuto la newsletter che mi avvisa che i Radiohead hanno rilasciato il 24 giugno scorso 10 live video e che questi live video sono disponibili in esclusiva su iTunes.
L'uscita dell'ultimo lavoro della band di Thom Yorke, In rainbows, ha fatto molto parlare per via del fatto che fosse possibile acquistarlo solamente online (e fin qui niente di nuovo, almeno così la penso io) e, soprattutto (e qui sta la vera novità), per il fatto di lasciare liberi gli utenti di decidere il valore del loro acquisto.
Come si poteva immaginare, la decisione di York & Co. è stata unanimemente condannata da chi ha visto in questa mossa un attacco ad un sistema di potere che per far arrivare musica alla gente utilizza un processo industriale allucinante che grava completamente sull'utente finale.
Sembrerà un pensiero sentito e risentito, ma secondo me è importante fermarsi a riflettere sulla potenza dei media digitali nell'accorciare il processo e nel facilitare il ritorno ad un rapporto "diretto" seppure digitale tra produttore e consumatore. Che sia l'inizio della fine dell'industria discografica così come la conosciamo? Tremate, intermediari che vi siete arricchiti in questi anni, tremate.

Foto: repubblica.it

mercoledì 25 giugno 2008

Markets are conversations... e allora la relazione che c'entra?

Ho partecipato in questi giorni ad una discussione molto interessante, lanciata da Marco Cordioli su Mlist, sul tema delle "conversazioni" e sugli sforzi che le aziende pongono in essere per cercare di instaurare una conversazione, e una relazione, tra azienda e clienti o potenziali tali.
Come riportato al punto 1 del Cluetrain Manifesto, "markets are conversations". E su questo credo che nessuno possa obiettare che non lo siano. Ma da qui ad affermare che da una conversazione si debba passare ad una relazione di tempo, e di contenuti, ce ne passa.
Vorrei riprendere questo argomento partendo dal mio intervento su Mlist. Io credo che il problema sia legato al concetto stesso di relazione che, quando passa a livello aziendale, assume dei connotati "particolari" che lo allontano dalla relazione che si instaura tra due "entità" sullo stesso piano. Relazione che presuppone uno "scambio" tra le due entità che va al di là della semplice conversazione.
E questo tipo di relazione tra un'azienda e un prospect non potrà mai esserci perchè, senza troppi giri di parole, non dimentichiamoci che le aziende hanno come obiettivo ultimo quello di vendere i propri prodotti e non certo quello di farsi invitare a cena. IMHO instaurare quella che le aziende chiamano una relazione non è altro che un modo diverso di entrare in contatto con potenziali clienti con l'obiettivo ultimo di cui parlavo prima: anni fa, e qualcuno lo fa ancora, si sparava nel mucchio sperando di colpire il target giusto con campagna TV e simili (io azienda parlo a te stupido consumatore), ora si spara un po' meno nel mucchio e si cerca di relazionarsi con i consumatori (io azienda ho capito che te consumatore tanto stupido non sei e decido di conversare con te provando ad instaurare una relazione, ma non dimentico mai il mio obiettivo).
Una provocazione: quando tutte le aziende avranno instaurato relazioni con i propri potenziali clienti, si tornerà indietro o ci troveremo a dover declinare milioni di inviti a cena?

martedì 24 giugno 2008

Mobile Advertising

Si parla sempre più spesso del futuro dell'advertising e di come questo futuro sarà dominato dal mobile, il nostro vecchio e caro telefonino (ma guai ormai a chiamarlo così).
Leggevo oggi un articolo di Mike Baker su iMedia Connection che tesseva le lodi del mobile advertising e di come rispetto all'advertising tradizionale, sia TV che internet, le web page mobile non sono cosi "affollate" e di conseguenza ciascuna advertising unit diventa più significativa per il consumatore.
Altri interessanti articoli sullo sviluppo del mobile ed in particolare del mobile advertising nell'area BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) è possibile leggerli su eMarketer e sul sito web dell'Atelier.
Tutto questo mi ha portato alla seguente riflessione: dal momento che si stanno saturando sia gli spazi che le menti dei consumatori, è necessario che l'advertising trovi nuovi sbocchi per continuare a sopravvivere. Sbocchi che ovviamente in questo momento si indirizzano in un'area che ancora non è stata sfruttata a pieno, quella del mobile. E quando questa sarà satura? Ci saranno altri media da utilizzare in un ciclo continuo di aggressione, copertura, saturazione o tutto questo porterà ad un nuovo concetto di advertising, che almeno fino ad ora non si è visto?

domenica 22 giugno 2008

Mobiquità

Eccomi di ritorno dopo una settimana di assenza dal blog. Viaggi di lavoro ed altre amenità varie.
Ed eccomi per parlare di un argomento che in questi giorni mi ha fatto riflettere: la mobiquità.
Ho letto la parola mobiquità sul libro "Comment le web change le monde. L'alchimies des multitudines" di Francis Pisani e Dominique Piotet. Mobiquità non è altro che la crasi tra le parole mobilità e ubiquità (ed è un termine suggerito da un consulente, Xavier Dalloz). Una parola che a me spaventa un pochino perchè mi fa venire in mente, non so per quale motivo, la possibilità di essere "rintracciato" (raggiunto, per usare un termine che va molto di moda in questo periodo) in qualunque luogo e in qualunque momento.
Giovedi mattina ero a Linate e, mentre aspettavo ancora assonnato di imbarcarmi, scrutavo da sotto gli occhiali tutti questi "manager" stressati con i loro BlackBerry sulla mano destra, i telefonini sulla mano sinistra e la borsa con il PC a tracollo che parlavano, discutevano, si animavano e sbraitavano... ovviamente parlando di lavoro. Alle sette di mattina?
E' questa la mobiquità di cui si parla? Il fatto di occupare quel poco tempo libero che ormai abbiamo (che potremmo sfruttare stando seduti sulle poltroncine dell'aeroporto senza fare assolutamente niente) leggendo e rispondendo alle mail, guardando il pc e parlando di lavoro? Siamo sicuri che tutto questo migliori la nostra qualità di vita? Ditemi la vostra perchè comincio seriamente a dubitare di tutto questo.

venerdì 13 giugno 2008

Firefox Downloading Day


Mozilla Firefox è riuscito a diventare il browser più utilizzato dopo lo stranoto Internet Explorer.
In occasione del lancio della versione 3.0 del browser, prevista per il 17 giugno prossimo, la Fondazione Mozilla ha lanciato una singolare sfida: raggiungere entro le 24 ore dal lancio il maggior numero di download.
Parteciperò sicuramente all'iniziativa (Mike Schroepfer, vice presidente Engineering della Mozilla Corporation, ha riassunto benissimo in questa intervista i motivi per cui milioni di persone in tutto il mondo hanno scaricato Firefox) e invito tutti a farlo, non tanto per fare battaglie di religione contro Microsoft (che credo tutti dobbiamo ringraziare se non altro per il fatto di aver alfabetizzato al personal computere milioni di persone), ma perchè ritengo che Firefox sia attualmente il miglior browser in circolazione. Se uscirà una versione di Explorer migliore di Firefox, sicuramente userò quella.
Si è letto e si è sentito molto parlare di apertura, chiusura, software proprietari etc. etc. A mio modo di vedere in tutte queste interessanti discussioni si è sempre perso di vista l'utente, a cui non interessano minimante queste "battaglie" di pensiero e a cui invece interessa solamente di utilizzare lo strumento che ritiene migliore per lui in quel dato momento, dati i suoi obiettivi.
Come finiranno tutte questioni? Ci saranno solo sistemi "aperti"? I sistemi proprietari e blindati alla fine si apriranno? Non lo so. Solo il tempo saprà indicarcelo.
Per il momento noi utilizziamo Windows, navighiamo con Firefox e, a breve, telefoneremo con l'iPhone.

Immagine: repubblica.it

martedì 10 giugno 2008

iPhone - noniPhone... questo è il problema


Si è fatto un gran parlare in questi ultimi mesi del melafonino di casa Apple. E su una infinità di tematiche (sim, sblocco, prezzi, applicazioni, novità, accordi e bla bla) che è difficile ricordarle tutte.
Siamo da poco usciti dal keynote, sottotono, del WWDC, come ci ricorda Blogosfere che non ha fatto altro altro che alimentare voci e voci sulla commercializzazione del noto aggeggio in Italia e sul costo che dovrà sostenere chi vorrà dotarsi di questo splendido aggeggio (interessante e divertente l'iniziativa di FuturoProssimo).
E si, avete letto bene: splendido aggeggio.
Ed è proprio questo il punto che volevo portare all'attenzione: in tutti questi mesi a mio modo di vedere ci si è concentrati troppo sulle features di questo oggetto (sigle su sigle su sigle) trascurando di parlare della vera forza innovativa che ha fatto del gioiellino di casa Apple un fenomeno a livello mondiale in grado di rosicchiare quote di mercato ad una velocità impensabile per un mercato quale quello dei cellulari: la capacità di scardinare il concetto stesso di telefonino. Pensate a questa cosa: l'iPhone lo chiamereste mai telefonino? Avete mai sentito qualcuno che ha l'iPhone chiamarlo telefonino? Ed infatti di telefonino non stiamo affatto parlando.
Ma fino a qui niente di nuovo, mi potreste obiettare. In fondo, gli smartphone non sono un telefonino e Apple non si è inventata niente. E' vero, Apple non si è inventata niente (in termini di funzionalità), ma è stata talmente brava a lavorare sulla usabilità di quell'oggetto che è stata in grado di trasformare i gesti routinari tipici dell'utilizzo di un telefonino in una vera e propria esperienza. Fino ad un anno fa era impensabile acquistare un "telefonino" e non trovare nella sua scatola un manuale di istruzioni. L'iPhone non ha manuale di istruzioni.
Insomma, un iPhone è come un tatuaggio: una volta che lo hai, difficilmente puoi toglierlo.

venerdì 6 giugno 2008

Siti web e creatività

Cosa è la creatività su internet? Esiste? Nel 2008 si può ancora parlare di creatività o bisogna concentrarsi sulla cosa più importante, il contenuto? Assisteremo ad una graduale scomparsa della creatività? I siti saranno sempre più uguali gli uni agli altri in termini di usability ed elementi di fruizione? Le agenzie creative dovranno riconvertirsi e lo sapranno fare?
Vorrei sentire la vostra opinione...

mercoledì 4 giugno 2008

Advertising: ha ancora senso parlare di off e online?

Leggevo qualche giorno fa che l'advertising online, quando tende ad imitare i formati della pubblicità televisiva e stampata è destinato a fallire. Affermazione abbastanza ovvia, a mio modo di vedere.
L'articolo letto mi ha richiamato alla memoria la dicotomia tra off e online che da anni emerge all'interno della aziende. Che l'advertising online abbia per anni "imitato" la comunicazione offline è frutto di una scarsa o inesistente cultura dei vari responsabili adv (a cui era affidato anche l'ingrato compito di pianificare sul web) che, chiusi nel loro miope modo di concepire la comunicazione, hanno teso per portare sul web modelli che conoscevano e che gli faceva dormire sonni tranquilli. E tutto questo ha contribuito ad accentuare la dicotomia tra offline e online. Banner che tutto sembravano fuorchè progettati per svolgere il loro lavoro, creatività keywords che sembravano proclami autoritari, siti web innavigabili... ho visto di tutto.
Potremmo parlare per ore dei differenti obiettivi che bisogna aver ben chiari quando si progetta e si pianifica una campagna di comunicazione online, ma non è l'argomento del post.
Quello che a me da fastidio è che ancora si fa distinzione tra advertising offline e advertising online (e purtroppo è una cosa che è emersa anche all'ultimo IAB che si è svolto a Roma i primi di maggio) e ancora non si è capito che bisogna ragionare in maniera olistica, in maniera integrata tra tutti i media di comunicazione, ciascuno con obiettivi e ruoli definiti e ben identificati nell'ottica di un "disegno" complessivo.
Spero davvero che ci si renda conto che continuare a parlare di off e online come di due mondi separati non fa altro che fare ancora più male alla comunicazione offline, che non naviga certo in buone acque.

martedì 3 giugno 2008

Il DSM e l'internet addiction

Il Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders («manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali»), noto anche con l'acronimo DSM, è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici e psichiatri di tutto il mondo. La prima edizione del manuale risale al 1952 e l'ultima (il DSM IV, attualmente in fase di revisione) risale al 1994. Il manuale raccoglie attualmente più di 370 disturbi mentali, descrivendoli in base alla prevalenza di determinati sintomi (per lo più quelli osservabili nel comportamento dell'individuo, ma non mancano riferimenti alla struttura dell'Io e della personalità). Fonte: Wikipedia
Nella prossima edizione del DSM (il V), che dovrebbe essere pubblicato a maggio del 2012, probabilmente verrà introdotta la "dipendenza da internet" (nel 2012 di cose ne cambieranno... si potrà parlare ancora di internet? staremo a vedere).
Secondo Kimberly Young, che con Ivan Goldberg (colui che ha coniato il termine Internet Addiction nel 1997) sta facendo pressione affinché l'Internet Addiction Disorder (IAD) venga inserito nel DSM V, esistono 5 tipi di dipendenza:
  • Dipendenza cibersessuale;
  • Dipendenza ciber-relazionale;
  • Net Gaming;
  • Sovraccarico cognitivo;
  • Computer gaming (che è differente dal net gaming poichè non interattivo e non giocato in rete; e allora mi chiedo perchè inserirlo come IAD).
Quello che a me non convince di tutto questo è che un media (internet) possa essere identificato come la causa di questa "addiction". Provo a spiegarmi meglio: così come viene posta la questione, sembra che la dipendenza sia causata da internet, quando invece dovrebbe correttamente essere evidenziato che internet non è altro che un "facilitatore" nel far emergere, magari con più rapidità qualora non ci fosse stato, patologie in soggetti già predisposti. Qualcuno potrebbe obiettare che magari senza internet queste patologie non sarebbero emerse, ma dubito. Sono d'accordo con coloro che invece remano contro l'inserimento del'IAD nel DSM V dove magari per la dipendenza sessuale dovranno essere prese in considerazione le differenti e nuove "fruizioni" di questa dipendenza per poterla curare, ma sempre di dipendenza sessuale si tratta. E così dovrebbe valere per le altre.