martedì 9 dicembre 2008
Facciamo il punto
Ultimi giorni di un natale che si preannuncia molto punto net devo fare un po' di shopping punto com per risparmiare qualche punto eu mi faccio un giretto online cerco qualche punto info devo capire i costi di spedizione per il punto it se la merce la acquisto in un punto us e nei miei giri mi imbatto in un punto pro "punto bo, che sarà?" la mia espressione di stupore rimango col dubbio vado in un sito per bambini punto ua "punto ma" sempre più i domini che non conosco "punto no" dico tra me e me forse è il caso di fermarsi punto
giovedì 27 novembre 2008
Capita sempre più spesso
"Non hai accettato la mia amicizia su Facebook..."
"Si, non l'ho accettata. E allora??? Saranno cavoli miei chi accettare o no???"
"Si, non l'ho accettata. E allora??? Saranno cavoli miei chi accettare o no???"
venerdì 21 novembre 2008
Blackle - Energy Saving Search
Ammetto la mia ignoranza: non conoscevo il progetto Blackle fino a quando non me ne ha parlato un mio collega questa mattina. Blackle è un motore di ricerca, basato sul Google Custom Search, che promette un risparmio energetico poiché utilizza pagine con sfondo nero che per caricarsi consumano meno energia di pagine con sfondo bianco. Secondo i suoi ideatori, l'utilizzo di Blackle su larga scala dovrebbe consentire di risparmiare parecchi megawatt l'anno.
Ultimamente sto cominciando a pormi sempre più domande sul consumo energetico e su come noi comuni mortali potremmo effettivamente contribuire a ridurlo.
Sempre maggiori sono gli stimoli al riguardo (vedi la bellissima campagna "Switch" di MTV), ma ancora poche le persone che effettivamente provano a fare qualcosa. E tra queste mi ci metto anche io che, pur sensibile all'argomento, sono tuttavia molto combattuto sull'efficacia o meno di comportamenti ECB (ovvero Energetically Correct Behavior, un termine che mi sono inventato e che mi piace) da parte dei comuni cittadini. Credo che anche se tutti adottassimo tali comportamenti, questi inciderebbero davvero in misura marginale sul problema globale. Ma lo dico da ignorante e senza avere dati alla mano, quindi potrei sbagliarmi. Comunque, pur rimanendo col dubbio, forse imposterò Blackle come default page del browser invece di lasciarla blank e stasera proverò a non lasciare la TV in stand-by prima di andare a letto. Per ora, di sicuro, spengo il mio Mac.
Fonte immagine: Blackle.com
Ultimamente sto cominciando a pormi sempre più domande sul consumo energetico e su come noi comuni mortali potremmo effettivamente contribuire a ridurlo.
Sempre maggiori sono gli stimoli al riguardo (vedi la bellissima campagna "Switch" di MTV), ma ancora poche le persone che effettivamente provano a fare qualcosa. E tra queste mi ci metto anche io che, pur sensibile all'argomento, sono tuttavia molto combattuto sull'efficacia o meno di comportamenti ECB (ovvero Energetically Correct Behavior, un termine che mi sono inventato e che mi piace) da parte dei comuni cittadini. Credo che anche se tutti adottassimo tali comportamenti, questi inciderebbero davvero in misura marginale sul problema globale. Ma lo dico da ignorante e senza avere dati alla mano, quindi potrei sbagliarmi. Comunque, pur rimanendo col dubbio, forse imposterò Blackle come default page del browser invece di lasciarla blank e stasera proverò a non lasciare la TV in stand-by prima di andare a letto. Per ora, di sicuro, spengo il mio Mac.
Fonte immagine: Blackle.com
martedì 18 novembre 2008
Internet distrae dal lavoro
O meglio, i social network (in primis il tanto amato-odiato Facebook) e gli instant messenger distrarrebbero così tanto dal lavoro che i vertici aziendali delle aziende coadiuvati da quelli informatici, con la scusa della sicurezza (ma che abbiamo tutti la sveglia al collo e l'anello al naso?), decidono spesso di bloccare l'accesso a tali "servizi" (vedi Repubblica.it).
Circa 10 anni fa lessi un libro in cui si parlava del rapporto spesso conflittuale delle aziende con internet (all'epoca i social network neppure esistevano) e mi illuminò la seguente frase: se le persone in azienda navigano su internet, non è internet il problema.
Una frase che forse i top manager dovrebbero interiorizzare e che potrei tradurre così: se la gente "cazzeggia", per usare un termine tanto in voga ultimamente, vuole dire che non ha niente da fare e che forse l'organizzazione del lavoro non è ottimale. Ma lo capisco: è sicuramente più facile bloccare l'accesso a internet che fermarsi a ragionare su strutture, organizzazione e ripartizione dei carichi di lavoro.
Per non parlare poi di chi, come molti di noi, proprio quegli strumenti tanto odiati (vedi i vari IM) li usano per lavorare perchè più veloci e più affidabile della posta elettronica.
Concludo con un messaggio per i vertici aziendali: bloccatemi pure l'accesso al mio mondo virtuale tanto, se non ho niente da fare, me ne andrò sicuramente a prendere più caffè nel mondo reale.
Circa 10 anni fa lessi un libro in cui si parlava del rapporto spesso conflittuale delle aziende con internet (all'epoca i social network neppure esistevano) e mi illuminò la seguente frase: se le persone in azienda navigano su internet, non è internet il problema.
Una frase che forse i top manager dovrebbero interiorizzare e che potrei tradurre così: se la gente "cazzeggia", per usare un termine tanto in voga ultimamente, vuole dire che non ha niente da fare e che forse l'organizzazione del lavoro non è ottimale. Ma lo capisco: è sicuramente più facile bloccare l'accesso a internet che fermarsi a ragionare su strutture, organizzazione e ripartizione dei carichi di lavoro.
Per non parlare poi di chi, come molti di noi, proprio quegli strumenti tanto odiati (vedi i vari IM) li usano per lavorare perchè più veloci e più affidabile della posta elettronica.
Concludo con un messaggio per i vertici aziendali: bloccatemi pure l'accesso al mio mondo virtuale tanto, se non ho niente da fare, me ne andrò sicuramente a prendere più caffè nel mondo reale.
giovedì 13 novembre 2008
IAB o non-IAB: questo è il problema
Che faccio, lo scrivo o no un post sull'ultima edizione dello IAB Forum?
E cosa scrivo:
- che ho seguito il convegno di apertura e si è parlato per il 90% di argomenti inconstistenti?
- che ai workshop pomeridiani sembrava di assistere a delle televendite?
- che agli stand sembrava di essere più ad una fiera di paese che non ad un incontro di "gente" esperta, o presunta tale, di comunicazione digitale?
- che forse sarebbe il caso aprire davvero una finestra sul futuro della comunicazione digitale?
- che sarebbe interessante avere maggiori testimonianze di casi concreti con numeri e dati?
- che fare una previsione di un +20% di crescita per il 2009 dello spending in digital advertising fa comodo ai soliti noti?
Non lo so, devo pensarci se scriverlo o meno un simile post.
Fonte immagine: sito IAB Forum
E cosa scrivo:
- che ho seguito il convegno di apertura e si è parlato per il 90% di argomenti inconstistenti?
- che ai workshop pomeridiani sembrava di assistere a delle televendite?
- che agli stand sembrava di essere più ad una fiera di paese che non ad un incontro di "gente" esperta, o presunta tale, di comunicazione digitale?
- che forse sarebbe il caso aprire davvero una finestra sul futuro della comunicazione digitale?
- che sarebbe interessante avere maggiori testimonianze di casi concreti con numeri e dati?
- che fare una previsione di un +20% di crescita per il 2009 dello spending in digital advertising fa comodo ai soliti noti?
Non lo so, devo pensarci se scriverlo o meno un simile post.
Fonte immagine: sito IAB Forum
lunedì 3 novembre 2008
OpenID e il concetto di privacy
Privacy online: quando se ne parla mi viene sempre da sorridere. E quando se ne parla tirando in ballo i soliti "noti" (Google, Microsoft e i vari compagni di merende) mi viene ancora più da sorridere.
OpenID, ovvero la possibilità (finalmente) di poter accedere con una unica "chiave" di accesso, passatemi la ripetizione, a tutti i servizi che utilizziamo online.
Tralasciando i tecnicismi sul suo funzionamento e concentrandoci invece sul tema della privacy legato all'OpenID, quello che noto è che si cominciano già a delineare due grossi schieramenti: chi finalmente non vede l'ora di avere questa unica "chiave di accesso" dimenticandosi per sempre svariate ID e password (alcune inevitabilmente perse nei meandri della propria presenza online) e chi invece ritiene che l'unicità di questa ipotetica, neppure più di tanto, chiave di accesso possa in qualche modo minare la propria privacy online.
Fermo restando sul fatto che mi trovo pienamente d'accordo che un minimo di privacy debba comunque essere garantita, se una persona ha davvero paura che quello che fa online possa in qualche modo essere "visto" da terzi (siano essi una fantomatica Big G, Microsoft, etc. etc.) allora non dovrebbe proprio essere online, non dovrebbe avere un account Gmail o un profilo MSN, non dovrebbe usare i vari messenger, non dovrebbe essere su Facebook... mi fermo qui altrimenti non mi basterebbe l'intero blog.
Leggevo qualche tempo fa di una ricerca condotta sui digital native e sulla loro percezione della privacy. Quello che mi stupì leggendo i risultati era che i giovani "digitali" non hanno tanto paura che alcune "aziende" o "istituzioni" possano in qualche modo conoscere i loro comportamenti online, ma hanno paura della violazione della propria privacy da parte della stretta cerchia di persone che in qualche modo gli sono vicine (genitori in primis): i digital native, insomma, hanno paura che un genitore possa sapere quello che fa online, con chi chatta, che siti vede, il proprio profilo su Facebook etc. etc. Delle "istituzioni" gliene frega il giusto.
Non credete sia il caso di cominciare a rivedere il concetto stesso di privacy come lo abbiamo conosciuto finora?
OpenID, ovvero la possibilità (finalmente) di poter accedere con una unica "chiave" di accesso, passatemi la ripetizione, a tutti i servizi che utilizziamo online.
Tralasciando i tecnicismi sul suo funzionamento e concentrandoci invece sul tema della privacy legato all'OpenID, quello che noto è che si cominciano già a delineare due grossi schieramenti: chi finalmente non vede l'ora di avere questa unica "chiave di accesso" dimenticandosi per sempre svariate ID e password (alcune inevitabilmente perse nei meandri della propria presenza online) e chi invece ritiene che l'unicità di questa ipotetica, neppure più di tanto, chiave di accesso possa in qualche modo minare la propria privacy online.
Fermo restando sul fatto che mi trovo pienamente d'accordo che un minimo di privacy debba comunque essere garantita, se una persona ha davvero paura che quello che fa online possa in qualche modo essere "visto" da terzi (siano essi una fantomatica Big G, Microsoft, etc. etc.) allora non dovrebbe proprio essere online, non dovrebbe avere un account Gmail o un profilo MSN, non dovrebbe usare i vari messenger, non dovrebbe essere su Facebook... mi fermo qui altrimenti non mi basterebbe l'intero blog.
Leggevo qualche tempo fa di una ricerca condotta sui digital native e sulla loro percezione della privacy. Quello che mi stupì leggendo i risultati era che i giovani "digitali" non hanno tanto paura che alcune "aziende" o "istituzioni" possano in qualche modo conoscere i loro comportamenti online, ma hanno paura della violazione della propria privacy da parte della stretta cerchia di persone che in qualche modo gli sono vicine (genitori in primis): i digital native, insomma, hanno paura che un genitore possa sapere quello che fa online, con chi chatta, che siti vede, il proprio profilo su Facebook etc. etc. Delle "istituzioni" gliene frega il giusto.
Non credete sia il caso di cominciare a rivedere il concetto stesso di privacy come lo abbiamo conosciuto finora?
mercoledì 29 ottobre 2008
Facebook Big Brother: che tristezza 2!
Ultimamente mi trovo un po' troppo spesso a parlare di Facebook. E oltretutto a parlarne non troppo bene. Forse è il caso che torni di nuovo a parlare di Twitter, visto che è un po' che non lo faccio e non vorrei che si offendesse.
A mio modo di vedere, la vera valenza dei social network dovrebbe essere quella di "facilitatori" nel mantenere labili relazioni sociali (la maggior parte della amicizie di Facebook sono "fittizie": vi sfido a trovare una persona nel mondo reale che ha oltre 1.500 amici). Premesso ciò, quando questa mattina ho letto che una studentessa/segretaria fiorentina di nome Janet Pitarresi ha inventato un "reality online su Facebook" non riuscivo a credere a quello che stavo leggendo. Indipendentemente dal discorso relativo alla valenza di un simile progetto, che mi lascia molto perplesso, quello che mi ha stupito è l'enorme successo che tale progetto ha riscosso in termini di adesioni. Non conosco nel dettaglio il funzionamento di questo reality, e quindi non posso dare un giudizio oggettivo, ma mi trovo d'accordo con Gabriele Ametrano quando parla del sovrapporsi di piani esistenti: Facebook stesso, se ci pensate bene, è già un "grande fratello" dove io posso sbirciare i profili dei miei amici e quelli pubblici, partecipare a gruppi, scrivere le mie opinioni etc. etc. Da quanto afferma la sua ideatrice, la differenza del reality starà nel fatto che i partecipanti dovranno cimentarsi ed esprimere le proprie opinioni su vari temi definiti dagli autori. E perchè allora non utilizzare un semplice forum? Forse perchè un forum non ha la stessa notiziabilità di Facebook?
Terrò sotto stretta osservazione il fenomeno e, forse, mi infiltrerò di nascosto tra i partecipanti.
A mio modo di vedere, la vera valenza dei social network dovrebbe essere quella di "facilitatori" nel mantenere labili relazioni sociali (la maggior parte della amicizie di Facebook sono "fittizie": vi sfido a trovare una persona nel mondo reale che ha oltre 1.500 amici). Premesso ciò, quando questa mattina ho letto che una studentessa/segretaria fiorentina di nome Janet Pitarresi ha inventato un "reality online su Facebook" non riuscivo a credere a quello che stavo leggendo. Indipendentemente dal discorso relativo alla valenza di un simile progetto, che mi lascia molto perplesso, quello che mi ha stupito è l'enorme successo che tale progetto ha riscosso in termini di adesioni. Non conosco nel dettaglio il funzionamento di questo reality, e quindi non posso dare un giudizio oggettivo, ma mi trovo d'accordo con Gabriele Ametrano quando parla del sovrapporsi di piani esistenti: Facebook stesso, se ci pensate bene, è già un "grande fratello" dove io posso sbirciare i profili dei miei amici e quelli pubblici, partecipare a gruppi, scrivere le mie opinioni etc. etc. Da quanto afferma la sua ideatrice, la differenza del reality starà nel fatto che i partecipanti dovranno cimentarsi ed esprimere le proprie opinioni su vari temi definiti dagli autori. E perchè allora non utilizzare un semplice forum? Forse perchè un forum non ha la stessa notiziabilità di Facebook?
Terrò sotto stretta osservazione il fenomeno e, forse, mi infiltrerò di nascosto tra i partecipanti.
lunedì 13 ottobre 2008
Facebook Party: che tristezza!
Girovagando in rete mi sono imbattuto nel resoconto e in bellisime (ironico!) foto del Facebook Party che si è tenuto a Roma ieri sera. Ricordo ora di aver sentito con parte dell'orecchio destro, mentre il sinistro ascoltava cose più interessanti, una veloce notizia in qualche TG.
Un Facebook Party? Ho capito bene? Cioè vuol dire un party dove mi devo sorbire le foto che diventano reali dei miei "amici"? Un evento in cui devo fare il finto interessato a tutto quello che questi presunti "amici" mi raccontano della loro vita da quando non ci frequentiamo più? (e se non ci frequentiamo più un motivo ci sarà).
Dal mio punto di vista, all'intero di ciascuna "comunità" che fa capo ad una persona, gli utenti di Facebook possono dividersi in due macro-cluster: quelli che realmente frequentano e sono in contatto con quella persona (e allora che bisogno c'è di vedersi in un Facebook Party?) e quelli che forse una volta erano degli amici ma che ora possono definirsi semplici conoscenti, nel migliore dei casi, e di cui non ce ne frega niente né di avere notizie né di frequentare (quanto volte abbiamo accettato un invito a diventare "amici" per il solo motivo di non far rimanere male chi ce lo ha proposto?).
Comincio a pensare che c'è qualcosa nel concetto di "amicizia" che sta alla base di Facebook che non funziona. In fondo, su Facebook possiamo essere tutti potenzialmente "amici", nella vita reale no!
Immagine: Logo Facebook (fonte: facebook.com)
Un Facebook Party? Ho capito bene? Cioè vuol dire un party dove mi devo sorbire le foto che diventano reali dei miei "amici"? Un evento in cui devo fare il finto interessato a tutto quello che questi presunti "amici" mi raccontano della loro vita da quando non ci frequentiamo più? (e se non ci frequentiamo più un motivo ci sarà).
Dal mio punto di vista, all'intero di ciascuna "comunità" che fa capo ad una persona, gli utenti di Facebook possono dividersi in due macro-cluster: quelli che realmente frequentano e sono in contatto con quella persona (e allora che bisogno c'è di vedersi in un Facebook Party?) e quelli che forse una volta erano degli amici ma che ora possono definirsi semplici conoscenti, nel migliore dei casi, e di cui non ce ne frega niente né di avere notizie né di frequentare (quanto volte abbiamo accettato un invito a diventare "amici" per il solo motivo di non far rimanere male chi ce lo ha proposto?).
Comincio a pensare che c'è qualcosa nel concetto di "amicizia" che sta alla base di Facebook che non funziona. In fondo, su Facebook possiamo essere tutti potenzialmente "amici", nella vita reale no!
Immagine: Logo Facebook (fonte: facebook.com)
domenica 5 ottobre 2008
Do Not Vote
Da non perdere in alcun modo!
lunedì 29 settembre 2008
Google, sono il quarto fondatore
Avete letto bene: siete sul blog del quarto fondatore di Google, nonchè terzo fondatore di MySpace e quinto fondatore di Facebook. Twitter? Ah si, non ho partecipato alla sua fondazione ma ho solamente collaborato alla scelta del nome e redatto le prime bozze del business plan (Twitter ha un business plan?).
Mi ha fatto sorridere la notizia in cui il presunto terzo fondatore di Google, Hubert Chang, stia rivendicando la co-paternità del più noto motore di ricerca e stia cercando di far affiancare il suo nome a quello di Larry Page e Sergei Brin.
A questo punto non vi resta che agire, prendervi un buon avvocato, trovare un professore universitario in cerca di fama e cominciare la vostra azione legale nei confronti di Google perchè è giusto che ciascuno di noi possa avvalersi del diritto di veder affiancato il proprio nome a quelli di Page e Brin... in fondo, abbiamo o non abbiamo un po' tutti contribuito a "fondare" Google?
Mi ha fatto sorridere la notizia in cui il presunto terzo fondatore di Google, Hubert Chang, stia rivendicando la co-paternità del più noto motore di ricerca e stia cercando di far affiancare il suo nome a quello di Larry Page e Sergei Brin.
A questo punto non vi resta che agire, prendervi un buon avvocato, trovare un professore universitario in cerca di fama e cominciare la vostra azione legale nei confronti di Google perchè è giusto che ciascuno di noi possa avvalersi del diritto di veder affiancato il proprio nome a quelli di Page e Brin... in fondo, abbiamo o non abbiamo un po' tutti contribuito a "fondare" Google?
martedì 23 settembre 2008
Attenti utenti di YouTube
Si, attenti che potreste essere tutti dei potenziali killer e domani potreste andare a scuola imbracciando un fucile e facendo una strage di compagni, come ha fatto Mr. Saari in una scuola di Kauajoki (o come cavolo si scrive).
Invece di utilizzare un titolo dai toni allarmistici "Killer è habitue di YouTube", perchè i giornalisti non si concentrano sull'evidenziare il fatto che forse è proprio grazie a YouTube che si sta trovando l'assassino (anche perchè ancora si parla di presunzione di colpevolezza")?
Certo, di questi tempi capisco che se non si demonizza il web almeno una volta al giorno non è politically correct. Ma così si rischia di far arrivare un messaggio in palese contrasto con la verità.
A proposito, si è scoperto che il killer delle lande gioca ogni giorno a tennis... tennisti, occhio, siete dei potenziali killer e non lo sapete!
Invece di utilizzare un titolo dai toni allarmistici "Killer è habitue di YouTube", perchè i giornalisti non si concentrano sull'evidenziare il fatto che forse è proprio grazie a YouTube che si sta trovando l'assassino (anche perchè ancora si parla di presunzione di colpevolezza")?
Certo, di questi tempi capisco che se non si demonizza il web almeno una volta al giorno non è politically correct. Ma così si rischia di far arrivare un messaggio in palese contrasto con la verità.
A proposito, si è scoperto che il killer delle lande gioca ogni giorno a tennis... tennisti, occhio, siete dei potenziali killer e non lo sapete!
giovedì 18 settembre 2008
Crac Lehman Brothers e il ruolo del web
La settimana "nera" per i mercati finanziari sta volgendo al termine. Ma con la fine della settimana non si placheranno certo ansie e preoccupazioni di chi, direttamente e indirettamente, verrà colpito dall'effetto domino che si verificherà a seguito di tale crac.
Le pagine dei principali quotidiani online e molti blog tematici sono state monopolizzate in questi giorni da notizie, informazioni, dati e quant'altro su ascesa e caduta della banca d'affari fondata nel XIX secolo dai fratelli Lehman.
Questa sera, mentre ascoltavo distrattamente il TG24 di Sky, mi sono posto una domanda: in tutta questa vicenda, quale è stato, quale è e quale dovrebbe essere il ruolo del web? Dobbiamo relegare la rete a svolgere un ruolo puramente informativo (e mi sembra che questo lo sappia fare piuttosto bene) o si possono immaginare frontiere diverse, un ruolo diverso della nostra amata "rete"?
Non ho una risposta a questa domanda e mi risulta difficile ipotizzare scenari "credibili" senza sforare nella futurologia.
Fermo restando che il web, soprattutto su temi di questo tipo, svolgerà sempre più un ruolo centrale nel prossimo futuro, potrà mai però essere in grado (utopicamente) di assurgere a luogo realmente collaborativo dove la condivisione di esperienze e conoscenze sia volta a favorire che tali situazioni non si verificheranno ovvero di svolgere un ruolo di alerting preventivo per i risparmiatori e per coloro che, in generale, possano subire "offese" da tali situazioni?
Foto: sede della Lehman Brothers (fonte: lehman.com)
Le pagine dei principali quotidiani online e molti blog tematici sono state monopolizzate in questi giorni da notizie, informazioni, dati e quant'altro su ascesa e caduta della banca d'affari fondata nel XIX secolo dai fratelli Lehman.
Questa sera, mentre ascoltavo distrattamente il TG24 di Sky, mi sono posto una domanda: in tutta questa vicenda, quale è stato, quale è e quale dovrebbe essere il ruolo del web? Dobbiamo relegare la rete a svolgere un ruolo puramente informativo (e mi sembra che questo lo sappia fare piuttosto bene) o si possono immaginare frontiere diverse, un ruolo diverso della nostra amata "rete"?
Non ho una risposta a questa domanda e mi risulta difficile ipotizzare scenari "credibili" senza sforare nella futurologia.
Fermo restando che il web, soprattutto su temi di questo tipo, svolgerà sempre più un ruolo centrale nel prossimo futuro, potrà mai però essere in grado (utopicamente) di assurgere a luogo realmente collaborativo dove la condivisione di esperienze e conoscenze sia volta a favorire che tali situazioni non si verificheranno ovvero di svolgere un ruolo di alerting preventivo per i risparmiatori e per coloro che, in generale, possano subire "offese" da tali situazioni?
Foto: sede della Lehman Brothers (fonte: lehman.com)
giovedì 11 settembre 2008
Plastic Logic Reader
Finalmente una notizia che merita attenzione: è stato presentato al Demo 08, uno dei più importanti meeting annuali dell'industria dell'alta tecnologia, il famigerato quotidiano elettronico visualizzato su un foglio di plastica prodotto dalla Plastic Logic di San Diego.
La notizia ha colto la mia attenzione, non tanto per la portata della novità in sè (in fondo stiamo parlando dello stranoto giornale elettronico, di cui se ne è parlato a sufficienza anche negli anni passati), ma perchè lo si sta comunicando come la soluzione alla crisi dei newspaper, in particolare quotidiani, cartacei.
Quello che mi chiedo è: ma questi signori sono veramente convinti che la crisi dei newspaper "tradizionali" possa risolversi con il foglio elettronico? E quale è la differenza tra il leggere le notizie su questo foglio elettronico e vederle sul sito della testata? (la possibilità di avere gli aggiornamenti via wi-fi? allora stiamo messi bene) E perchè dovrei portarmi in giro un foglio elettronico per leggermi un giornale quando tramite smartphone sempre più progettati per la navigazione in rete posso tranquillamente vedermi il sito, aggiornato costantemente, ovunque sono? (le tariffe? questo è un altro tema...).
Credo la crisi dell'editoria cartacea debba passare attraverso soluzioni che non siano un'emulazione del giornale così come sono abituati a leggerlo i nostri genitori e nonni.
Che stiamo assistendo ad uno degli ultimi colpi di coda di un settore già in enorme crisi?
La notizia ha colto la mia attenzione, non tanto per la portata della novità in sè (in fondo stiamo parlando dello stranoto giornale elettronico, di cui se ne è parlato a sufficienza anche negli anni passati), ma perchè lo si sta comunicando come la soluzione alla crisi dei newspaper, in particolare quotidiani, cartacei.
Quello che mi chiedo è: ma questi signori sono veramente convinti che la crisi dei newspaper "tradizionali" possa risolversi con il foglio elettronico? E quale è la differenza tra il leggere le notizie su questo foglio elettronico e vederle sul sito della testata? (la possibilità di avere gli aggiornamenti via wi-fi? allora stiamo messi bene) E perchè dovrei portarmi in giro un foglio elettronico per leggermi un giornale quando tramite smartphone sempre più progettati per la navigazione in rete posso tranquillamente vedermi il sito, aggiornato costantemente, ovunque sono? (le tariffe? questo è un altro tema...).
Credo la crisi dell'editoria cartacea debba passare attraverso soluzioni che non siano un'emulazione del giornale così come sono abituati a leggerlo i nostri genitori e nonni.
Che stiamo assistendo ad uno degli ultimi colpi di coda di un settore già in enorme crisi?
Etichette:
e-paper,
Plasti Logic Reader,
quotidiano elettronico
giovedì 4 settembre 2008
Cosa dire?
Del nuovo browser di Google, Chrome, se ne è parlato ovunque nel web (anche se per la versione Mac dovremo aspettare ancora).
Al prossimo keynote della Apple si parlerà, molto probabilmente, quasi esclusivamente di iPod Nano e iPod Touch. Ed il web è pieno di ipotesi e supposizioni.
Le Olimpiadi, fortunatamente, sono finite e ci hanno sollevato dal fardello di far finta di essere interessati ai risultati degli sportivi dopati, chi più chi meno.
L'uragano Gustav è passato senza fare troppi danni, per fortuna, e l'America si prepara alla sfida elettorale per le presidenziali. Chi vincerà?
E infine, il mondo verrà inghiottito il 10 settembre prossimo da un buco nero generato dall'esperimento dell'LHC (Large Hadron Collider, non chiedetemi cosa sia) del CERN, l'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare... ho ancora pochi giorni per trovare argomenti interessanti da postare!
Al prossimo keynote della Apple si parlerà, molto probabilmente, quasi esclusivamente di iPod Nano e iPod Touch. Ed il web è pieno di ipotesi e supposizioni.
Le Olimpiadi, fortunatamente, sono finite e ci hanno sollevato dal fardello di far finta di essere interessati ai risultati degli sportivi dopati, chi più chi meno.
L'uragano Gustav è passato senza fare troppi danni, per fortuna, e l'America si prepara alla sfida elettorale per le presidenziali. Chi vincerà?
E infine, il mondo verrà inghiottito il 10 settembre prossimo da un buco nero generato dall'esperimento dell'LHC (Large Hadron Collider, non chiedetemi cosa sia) del CERN, l'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare... ho ancora pochi giorni per trovare argomenti interessanti da postare!
Etichette:
CERN,
Chrome,
Gustav,
iPod nano,
iPod touch
martedì 5 agosto 2008
Zero comments
Ho appena finito di leggere "Zero Comments - Teoria critica di Internet" di Geert Lovink, un'interessante lettura che mette in discussione (con le dovute cautele) il modello economico del famigerato e tanto decantato Web 2.0.
Nel capitolo "Bloggare: l'impulso nichilista", uno dei 3 capitoli in cui è diviso il libro, l'autore fa un'analisi piuttosto approfondita del modello concettuale dei blog.
E proprio all'interno del capitolo dedicato ai blog, mi ha fatto molto riflettere una citazione di Claire E. Write, con cui vi lascio prima della pausa estiva: "L'essenza di un blog non è la sua interattività, ma la condivisione dei pensieri e delle opinioni del blogger. Aprire ai commenti il proprio blog dà luogo a molti problemi: bisogna dedicare un sacco di tempo a moderare i post, cacciare fuori spammer e troll e rispondere alle infinite domande tecniche di chi si registra" (The Author's Dilemma: To Blog or Not to Blog).
E' davvero un bel dilemma: lasciate il vostro commento... o forse no!
Immagine: copertina libro
Nel capitolo "Bloggare: l'impulso nichilista", uno dei 3 capitoli in cui è diviso il libro, l'autore fa un'analisi piuttosto approfondita del modello concettuale dei blog.
E proprio all'interno del capitolo dedicato ai blog, mi ha fatto molto riflettere una citazione di Claire E. Write, con cui vi lascio prima della pausa estiva: "L'essenza di un blog non è la sua interattività, ma la condivisione dei pensieri e delle opinioni del blogger. Aprire ai commenti il proprio blog dà luogo a molti problemi: bisogna dedicare un sacco di tempo a moderare i post, cacciare fuori spammer e troll e rispondere alle infinite domande tecniche di chi si registra" (The Author's Dilemma: To Blog or Not to Blog).
E' davvero un bel dilemma: lasciate il vostro commento... o forse no!
Immagine: copertina libro
mercoledì 30 luglio 2008
Mediaset chiede i danni a Google e YouTube
Siamo alla follia allo stato puro!
Non posso non postare questa notizia che ho appena letto sul sito del Corriere e che riguarda il fatto che Mediaset ha chiesto 500 milioni di euro a Google, e quindi a YouTube, perchè su quest'ultimo sarebbero presenti dei filmati, di proprietà Mediaset, per circa 325 ore che (e vorrei capire come fanno a dimostrarlo) avrebbe comportato una perdita per le tre reti televisive del gruppo di ben 315.672 giornate di visione da parte dei telespettatori. E a questo va aggiunto il danno per la mancata vendita di spazi pubblicitari, ovviamente.
Il mondo sta cambiando.
Il web è scomodo.
La logica stessa dei diritti così come è ora sarà destinata a morire (anche se posso essere d'accordo con Mediaset, allo stato dell'arte sulla legislazione dei diritti, sulla legalità di diffondere video di cui non si hanno i diritti).
Quello che però questi signori si ostinano a non capire è che la TV come la intendevano i nostri nonni sta lentamente scomparendo. E loro che fanno, invece di ringraziare Big G e il suo YouTube per aver diffuso i filmati presso un pubblico che non avrebbe mai visto tali filmati in TV, gli chiedono pure i danni.
Mi sembra di assistere ad uno degli ultimi colpi di coda di un grosso lucertolone agonizzante.
Non posso non postare questa notizia che ho appena letto sul sito del Corriere e che riguarda il fatto che Mediaset ha chiesto 500 milioni di euro a Google, e quindi a YouTube, perchè su quest'ultimo sarebbero presenti dei filmati, di proprietà Mediaset, per circa 325 ore che (e vorrei capire come fanno a dimostrarlo) avrebbe comportato una perdita per le tre reti televisive del gruppo di ben 315.672 giornate di visione da parte dei telespettatori. E a questo va aggiunto il danno per la mancata vendita di spazi pubblicitari, ovviamente.
Il mondo sta cambiando.
Il web è scomodo.
La logica stessa dei diritti così come è ora sarà destinata a morire (anche se posso essere d'accordo con Mediaset, allo stato dell'arte sulla legislazione dei diritti, sulla legalità di diffondere video di cui non si hanno i diritti).
Quello che però questi signori si ostinano a non capire è che la TV come la intendevano i nostri nonni sta lentamente scomparendo. E loro che fanno, invece di ringraziare Big G e il suo YouTube per aver diffuso i filmati presso un pubblico che non avrebbe mai visto tali filmati in TV, gli chiedono pure i danni.
Mi sembra di assistere ad uno degli ultimi colpi di coda di un grosso lucertolone agonizzante.
lunedì 28 luglio 2008
Codice internet
Codice Internet è un'interessante iniziativa, di cui sono venuto a conoscenza da uno dei miei blog preferiti (quello di Mauro Lupi) che si pone un obiettivo apparentemente molto semplice: divulgare la Rete in Italia.
Sul sito di Codice Internet potete vedere il "manifesto" in cui sono spiegati obiettivi e azioni che verranno intraprese.
Ed è proprio la concretezza, e le azioni proposte, che mi ha spinto ad aderire all'iniziativa: si parla di iniziative di divulgazione, internet week, internet show e molto altro ancora.
E finisco anche io, come Mauro, col fare un grosso "in bocca al lupo" agli ideatori e ai sostenitori dell'iniziativa.
Guarda la mia pagina su Codice Internet
Sul sito di Codice Internet potete vedere il "manifesto" in cui sono spiegati obiettivi e azioni che verranno intraprese.
Ed è proprio la concretezza, e le azioni proposte, che mi ha spinto ad aderire all'iniziativa: si parla di iniziative di divulgazione, internet week, internet show e molto altro ancora.
E finisco anche io, come Mauro, col fare un grosso "in bocca al lupo" agli ideatori e ai sostenitori dell'iniziativa.
Guarda la mia pagina su Codice Internet
venerdì 25 luglio 2008
Jog the web - visite guidate in rete
Ci ho pensato un pochino prima di decidere di scrivere un post su Jog the web. Poi questa mattina, miracolosamente, mi sono detto: "Perchè non farlo, forse a qualcuno può interessare".
Cos'è Jog the web? Semplice, è un sito (una start-up francese, per la precisione) che consente di creare una propria "surf list" (in parole povere, i siti che normalmente vediamo e possibilmente nell'ordine in cui lo facciamo), commentare ciascun sito, il motivo per cui lo visitiamo, e quindi condividere la nostra lista. Non manca la possibilità, attraverso un permalink, di utilizzare la track list sul proprio sito o sul proprio blog.
Dopo il primo momento di incertezza in cui non riuscivo a capire l'effettiva utilità di un progetto simile, sono poi arrivato alla conclusione che forse come idea di base può essere interessante. Potrei essere interessato a sapere la track list dei miei amici, dei miei genitori e soprattutto venire a conoscenza di siti e progetti grazie proprio a quelle persone che gestiscono i blog che seguo e i siti che leggo. Insomma, come idea non è niente di nuovo rispetto al concetto dei "Link preferiti" inseriti nei blog o nei siti, con la differenza però che posso renderli più umani, e condividerli molto facilmente (vi dice qualcosa il termine diaporama?).
Detto ciò, questa è la mia "track list"... enjoy it!
Immagine: Jog the Web
Cos'è Jog the web? Semplice, è un sito (una start-up francese, per la precisione) che consente di creare una propria "surf list" (in parole povere, i siti che normalmente vediamo e possibilmente nell'ordine in cui lo facciamo), commentare ciascun sito, il motivo per cui lo visitiamo, e quindi condividere la nostra lista. Non manca la possibilità, attraverso un permalink, di utilizzare la track list sul proprio sito o sul proprio blog.
Dopo il primo momento di incertezza in cui non riuscivo a capire l'effettiva utilità di un progetto simile, sono poi arrivato alla conclusione che forse come idea di base può essere interessante. Potrei essere interessato a sapere la track list dei miei amici, dei miei genitori e soprattutto venire a conoscenza di siti e progetti grazie proprio a quelle persone che gestiscono i blog che seguo e i siti che leggo. Insomma, come idea non è niente di nuovo rispetto al concetto dei "Link preferiti" inseriti nei blog o nei siti, con la differenza però che posso renderli più umani, e condividerli molto facilmente (vi dice qualcosa il termine diaporama?).
Detto ciò, questa è la mia "track list"... enjoy it!
Immagine: Jog the Web
mercoledì 23 luglio 2008
Il banner sociale
Vi segnalo un post molto interessante sulla "Teoria del banner sociale" sul blog [mini]marketing.
lunedì 21 luglio 2008
Flight Away Alliance
Per coloro che devono pianificare campagne di display advertising (campagne banner) un argomento piuttosto delicato è quello degli obiettivi con cui vanno progettate tali campagne. Estremizzando, le due macro-categorie in cui possono clusterizzarsi tutti gli obiettivi di campagne banner sono: fare brand awareness e incrementare traffico (poi ci si può pure scervellare tra una infinità di micro-obiettivi, ma le macro-categorie rimangono queste).
Premesso che ho molti dubbi sull'efficacia in termini di awareness delle campagne di display (torniamo sempre al tema della misurabilità) e che quindi, imho, le campagne di display andrebbero utilizzate con l'obiettivo principale di creare "traffico" (nel senso più lato del termine), credo sia nella maniera più assoluta errato pianificare campagne banner acquistando impression e pagando a CPM - Costo Per Mille impression (cosa che invece viene fatta e viene promossa da la maggior parte delle concessionarie).
Per sensibilizzare il mercato ho creato la Flight Away Alliance, un'iniziativa che ha l'obiettivo di raccogliere firme a favore dell'acquisto di spazi banner non più pagando a CPM ma pagando a CPC - Costo Per Click.
Vi invito a visitare il sito, pubblicato da qualche giorno, e a lasciare un vostro commento. E, se anche voi credete nell'iniziativa, a diffonderla il più possibile.
Premesso che ho molti dubbi sull'efficacia in termini di awareness delle campagne di display (torniamo sempre al tema della misurabilità) e che quindi, imho, le campagne di display andrebbero utilizzate con l'obiettivo principale di creare "traffico" (nel senso più lato del termine), credo sia nella maniera più assoluta errato pianificare campagne banner acquistando impression e pagando a CPM - Costo Per Mille impression (cosa che invece viene fatta e viene promossa da la maggior parte delle concessionarie).
Per sensibilizzare il mercato ho creato la Flight Away Alliance, un'iniziativa che ha l'obiettivo di raccogliere firme a favore dell'acquisto di spazi banner non più pagando a CPM ma pagando a CPC - Costo Per Click.
Vi invito a visitare il sito, pubblicato da qualche giorno, e a lasciare un vostro commento. E, se anche voi credete nell'iniziativa, a diffonderla il più possibile.
venerdì 18 luglio 2008
Twitter o non Twitter
Nei miei giri pomeridiani per il web mi sono imbattuto in questa vignetta su Geek & Poke che trovo fantastica.
Bersaglio, ovviamente, Twitter.
Twitter è quel servizio che consente, cito testualmente dalla home, "di comunicare e essere in contatto attraverso lo scambio di veloci, frequenti risposte ad una semplice domanda: cosa stai facendo adesso?".
In sostanza: ci si registra al servizio, si "costruisce" la propria rete di amici (che sono interessati a sapere cosa stiamo facendo in tutti i nostri momenti della giornata) e si comunica sul web o tramite mobile sempre ai nostri amici cosa stiamo facendo.
Di Twitter ne ho sempre sentito parlare fin dall'inizio, ma non mi sono mai creato un account... forse perchè sono fuori target o forse perchè ho amici a cui non frega niente sapere che in questo momento sto scrivendo un post per il mio blog.
Ora però vado ad aprirmi un account perchè sento la necessità di dire ai miei amici che ho appena finito di scrivere il mio nuovo post... ehi, amici, dove siete?
Immagine: sito Geek & Poke
Bersaglio, ovviamente, Twitter.
Twitter è quel servizio che consente, cito testualmente dalla home, "di comunicare e essere in contatto attraverso lo scambio di veloci, frequenti risposte ad una semplice domanda: cosa stai facendo adesso?".
In sostanza: ci si registra al servizio, si "costruisce" la propria rete di amici (che sono interessati a sapere cosa stiamo facendo in tutti i nostri momenti della giornata) e si comunica sul web o tramite mobile sempre ai nostri amici cosa stiamo facendo.
Di Twitter ne ho sempre sentito parlare fin dall'inizio, ma non mi sono mai creato un account... forse perchè sono fuori target o forse perchè ho amici a cui non frega niente sapere che in questo momento sto scrivendo un post per il mio blog.
Ora però vado ad aprirmi un account perchè sento la necessità di dire ai miei amici che ho appena finito di scrivere il mio nuovo post... ehi, amici, dove siete?
Immagine: sito Geek & Poke
giovedì 17 luglio 2008
Web 2.0: mi sono un po' stancato...
- della gente più disparata che parla e sciorina cultura sul Web 2.0
- di parlare con il manager cinquantenne che approva qualsiasi progetto basta che ci sia la sigla 2.0
- di ricevere offerte commerciali per attività 2.0 da aziende brick&mortar
- di leggere in qualsiasi parte del Web 2.0
- di sentirmi dire che se non ho un sito Web 2.0 sono fuori
- del continuo esercizio di classificazione che ha portato il mondo online ad essere quasi tutto 2.0
- di chi fino ad un mese fa non sapeva neanche cosa fosse internet e ora sa tutto sul Web 2.0
- delle società di consulenza che utilizzano continuamente il termine Web 2.0 per fare colpo
martedì 15 luglio 2008
HealthMap - è davvero utile?
E' stato da poco lanciato HealtMap, il servizio, realizzato da Google in collaborazione con il WHO, Harvard e il Boston Children's Hospital, che mostra la diffusione delle epidemie a livello mondiale.
Il servizio, graficamente molto usabile e di facile lettura (viene evidenziato se l'epidemia è locale o nazionale e il suo "heat index" - vedi qui per la spiegazione), in questa fase viene esaltato come uno strumento in grado di monitare le emergenze sanitarie e facilitarne la gestione (come riporta il corriere.it).
Come funziona? Semplice: il sistema raccoglie dati da diverse fonti tra cui anche account personali e alert ufficiali della World Health Organization e li posiziona sulla mappa in base ai criteri di cui sopra. E nella consultazione è anche possibile scegliere una scala temporale di riferimento.
Bene, fin qui tutto bello (a parte il tema di cui si sta parlando). Quello che mi chiedo però è, ma non si corre il rischio di un eccessivo allarmismo? Sicuramente è uno strumento utile per chi deve mettersi in viaggio, ma non credo posa essere la fonte esclusiva da cui apprendere le informazioni sullo "stato di salute" di un paese. Ad esempio, se prendiamo come periodo di riferimento dal 15 giugno al 14 luglio, dalla mappa in Italia abbiamo emergenze, a livello nazionale, per: malattie causate da cibo, salmonella e malattie del bestiame.
Se foste un turista che deve venire in Italia e visualizzaste questa mappa, verreste?
Credo sia necessario insegnare a leggere la mappa...
Il servizio, graficamente molto usabile e di facile lettura (viene evidenziato se l'epidemia è locale o nazionale e il suo "heat index" - vedi qui per la spiegazione), in questa fase viene esaltato come uno strumento in grado di monitare le emergenze sanitarie e facilitarne la gestione (come riporta il corriere.it).
Come funziona? Semplice: il sistema raccoglie dati da diverse fonti tra cui anche account personali e alert ufficiali della World Health Organization e li posiziona sulla mappa in base ai criteri di cui sopra. E nella consultazione è anche possibile scegliere una scala temporale di riferimento.
Bene, fin qui tutto bello (a parte il tema di cui si sta parlando). Quello che mi chiedo però è, ma non si corre il rischio di un eccessivo allarmismo? Sicuramente è uno strumento utile per chi deve mettersi in viaggio, ma non credo posa essere la fonte esclusiva da cui apprendere le informazioni sullo "stato di salute" di un paese. Ad esempio, se prendiamo come periodo di riferimento dal 15 giugno al 14 luglio, dalla mappa in Italia abbiamo emergenze, a livello nazionale, per: malattie causate da cibo, salmonella e malattie del bestiame.
Se foste un turista che deve venire in Italia e visualizzaste questa mappa, verreste?
Credo sia necessario insegnare a leggere la mappa...
domenica 13 luglio 2008
Lively: la Second Life by Google?
Google ha da poco lanciato Lively, come riportano gli amici di FuturoProssimo.
Cos'è Lively? Semplice: Lively, nelle intenzioni dei suoi padri, è una piattaforma web 3D molto più accessibile ed usabile rispetto a Second Life (quale è la mia idea del web 3D e di Second Life in particolare, potete leggerla qui). E se lo dicono quelli di Google, c'è da crederci.
Lively funziona attraverso la creazione da parte degli utenti di "stanze" (mi ricorda vagamente qualcosa... e se fossimo di fronte ad una semplice chat, però fatta in 3D?) a cui altri utenti potranno accedere e interagire sia con gli elementi della stanza che tra di loro nonchè arrivare alla sezione di un sito, se linkato, e magari guardarsi un video di YouTube direttamente proiettato sulle pareti della stanza. E le stanze, ovviamente, possono essere linkate tra loro. La forza di lively sta nella sua possibilità di integrare le stanze in altri siti, semplicemente inserendo alcune righe di codice, e di bypassare una delle principali debolezze di SL.
Che sia veramente arrivato il momento del web 3D o è un altro fuoco di paglia destinato a spegnersi non appena i media ne avranno succhiato tutto quello che possono? Non credo che sarà così e di Lively sicuramente ne sentiremo ancora parlare.
Per ora vado a crearmi la mia stanza e chissà, potrei invitarvi lì.
Immagine: Lively.com
Cos'è Lively? Semplice: Lively, nelle intenzioni dei suoi padri, è una piattaforma web 3D molto più accessibile ed usabile rispetto a Second Life (quale è la mia idea del web 3D e di Second Life in particolare, potete leggerla qui). E se lo dicono quelli di Google, c'è da crederci.
Lively funziona attraverso la creazione da parte degli utenti di "stanze" (mi ricorda vagamente qualcosa... e se fossimo di fronte ad una semplice chat, però fatta in 3D?) a cui altri utenti potranno accedere e interagire sia con gli elementi della stanza che tra di loro nonchè arrivare alla sezione di un sito, se linkato, e magari guardarsi un video di YouTube direttamente proiettato sulle pareti della stanza. E le stanze, ovviamente, possono essere linkate tra loro. La forza di lively sta nella sua possibilità di integrare le stanze in altri siti, semplicemente inserendo alcune righe di codice, e di bypassare una delle principali debolezze di SL.
Che sia veramente arrivato il momento del web 3D o è un altro fuoco di paglia destinato a spegnersi non appena i media ne avranno succhiato tutto quello che possono? Non credo che sarà così e di Lively sicuramente ne sentiremo ancora parlare.
Per ora vado a crearmi la mia stanza e chissà, potrei invitarvi lì.
Immagine: Lively.com
venerdì 11 luglio 2008
Il giorno "i" è arrivato
Senza parole
Vi pongo la stessa domanda che pongono sul blog salmo69: cosa cambia avere l'iPhone una settimana prima degli altri?
Vi pongo la stessa domanda che pongono sul blog salmo69: cosa cambia avere l'iPhone una settimana prima degli altri?
giovedì 10 luglio 2008
QR Code
Argomento degli ultimi mesi è lo sbarco in Italia, ormai alla mezzanotte di oggi, dell'ormai leggendario iPhone e delle polemiche che si sta portando dietro legate alle tariffe, assurde, proposte dai due principali operatori di telefonia mobile in Italia (invito di nuovo a sottoscrivere la petizione contro le tariffe TIM e Vodafone).
Tutto questo mi ha portato a riflettere sull'errore di una simile strategia di pricing che ha, purtroppo, "affossato" la navigazione web che invece è una prerogativa fondamentale del nuovo handset.
Dal browse-walking sono passato poi a pensare alle integrazioni tra mondo off-line e mondo on-line e mi sono tornati in mente i QR Code (l'immagine è il QR Code del blog che state leggendo) che, tra le varie possibilità, consentono agli utenti dotati di cellulari con fotocamera di leggere il QR Code e essere indirizzati direttamente sulla pagina del sito la cui URL è riportata all'interno del codice stesso (evitando di digitare lunghe URL o di ricordarle quando si arriva ad una postazione da cui è possibile navigare).
La navigazione mobile tenderà sempre più a sostituire la navigazione tradizionale (via PC) per tutta una serie di motivi che non mi metto ad elencare di nuovo.
Immaginate le potenzialità di tutto questo?
Eppure c'è ancora qualcuno che scoraggia la navigazione in mobilità.
Tutto questo mi ha portato a riflettere sull'errore di una simile strategia di pricing che ha, purtroppo, "affossato" la navigazione web che invece è una prerogativa fondamentale del nuovo handset.
Dal browse-walking sono passato poi a pensare alle integrazioni tra mondo off-line e mondo on-line e mi sono tornati in mente i QR Code (l'immagine è il QR Code del blog che state leggendo) che, tra le varie possibilità, consentono agli utenti dotati di cellulari con fotocamera di leggere il QR Code e essere indirizzati direttamente sulla pagina del sito la cui URL è riportata all'interno del codice stesso (evitando di digitare lunghe URL o di ricordarle quando si arriva ad una postazione da cui è possibile navigare).
La navigazione mobile tenderà sempre più a sostituire la navigazione tradizionale (via PC) per tutta una serie di motivi che non mi metto ad elencare di nuovo.
Immaginate le potenzialità di tutto questo?
Eppure c'è ancora qualcuno che scoraggia la navigazione in mobilità.
mercoledì 9 luglio 2008
iPhone: petizione contro le tariffe TIM e Vodafone
Invito tutti a firmare la petizione contro le tariffe proposte da TIM e Vodafone sul sito iPhoneaffossato.
Ed invito anche, per dare maggior forza alla petizione, a non acquistare l'iPhone. Forse capiranno.
Ed invito anche, per dare maggior forza alla petizione, a non acquistare l'iPhone. Forse capiranno.
lunedì 7 luglio 2008
JPod
Un dibattito lanciato dal Washington Post su come definire la generazione dei nati dal '77 al 2002 (direi più correttamente dal '70 in poi) mi ha fatto tornare in mente il libro JPod di Douglas Coupland (guardatevi il sito ufficiale) che ormai ho letto circa un anno fa. Il libro narra le vicende di Ethan Jarlewski, un programmatore di videogiochi, in una multinazionale canadese, alle prese con la realtà aziendale e la realtà "reale". Al di la dello stile narrativo di Coupland (geniale) che ti fa divorare oltre 400 pagine in due giorni, consiglio a tutti di leggere questo libro perchè descrive esattamente quella generazione di giovani che si tenta tanto di etichettare ed inoltre pone in evidenza la "malattia" di un sistema lavorativo e aziendale con cui però bisogna scendere a compromessi per inserirsi, sempre che lo si voglia, nel sistema sociale di cui è l'espressione.
E se fossimo la JPod-Generation?
Immagine: jpod.info
E se fossimo la JPod-Generation?
Immagine: jpod.info
venerdì 4 luglio 2008
giovedì 3 luglio 2008
Web semantico, ci credete?
Prendo spunto dalla notizia dell'acquisizione da parte di Microsoft del motore di ricerca semantico Powerset per parlare di un argomento che in questi mesi è un pochino sulla bocca di tutti quanti. Mi riferisco al web semantico e ai motori di ricerca semantici, ovvero, per dirla in parole povere, quei search engine che dovrebbero consentire ricerche tramite linguaggio naturale. In sostanza dovrebbe essere possibile interrogare il motore di ricerca come se parlassi con un'altra persona (la defizione di cosa è il web semantico potete trovarla su Wikipedia).
Non c'è dubbio che il web semantico sarà il futuro, su questo non discuto. Quello che però mi chiedo è: siamo così sicuri che le persone si rivolgeranno ai motori di ricerca semantici per quello che sono? O forse in questi anni il web ha talmente cambiato le nostre abitudini che riteniamo "naturale" rivolgerci ai motori di ricerca in un linguaggio che non è il linguaggio naturale?
Non c'è dubbio che il web semantico sarà il futuro, su questo non discuto. Quello che però mi chiedo è: siamo così sicuri che le persone si rivolgeranno ai motori di ricerca semantici per quello che sono? O forse in questi anni il web ha talmente cambiato le nostre abitudini che riteniamo "naturale" rivolgerci ai motori di ricerca in un linguaggio che non è il linguaggio naturale?
mercoledì 2 luglio 2008
Il digitale in azienda: alcune riflessioni
Riprendo un interessante post di Mauro Lupi sul tema dei contenuti, della continuità della comunicazione digitale e della centralità degli stessi.
Mauro Lupi riporta tre concetti della relazione di Rick Murray, presidente di Edelman Digital:
- la comunicazione digitale va pensata per durare nel tempo e non strutturata come un flight pubblicitario (mentre ancora oggi, aggiungo io, si pensa alla comunicazione digitale alla stessa identica maniera della comunicazione pubblicitaria tradizionale);
- centralità dei contenuti prima che della creatività (che andrà via via sparendo, aggiungo di nuovo io);
- diffusione di una "cultura digitale" in luogo del "reparto digitale (che ancora viene relegato, aggiungo sempre io, ad un ruolo marginale e solo per "geek" doc).
Purtroppo le aziende, nei casi in cui abbiano capito l'importanza della comunicazione digitale, non hanno comunque saputo adattare i loro organigramma e continuano a lavorare per compartimenti stagni dove, molto spesso, il digitale continua ad essere percepito come l'ultima ruota del carro della comunicazione. Solamente alcune, tra le più illuminate, hanno saputo cogliere immediatamente la forza d'urto del cambiamento digitale adattando a questo la loro organizzazione.
Convinzione che la comunicazione digitale non funzioni o paura di perdere posizioni dominanti acquisite?
Mauro Lupi riporta tre concetti della relazione di Rick Murray, presidente di Edelman Digital:
- la comunicazione digitale va pensata per durare nel tempo e non strutturata come un flight pubblicitario (mentre ancora oggi, aggiungo io, si pensa alla comunicazione digitale alla stessa identica maniera della comunicazione pubblicitaria tradizionale);
- centralità dei contenuti prima che della creatività (che andrà via via sparendo, aggiungo di nuovo io);
- diffusione di una "cultura digitale" in luogo del "reparto digitale (che ancora viene relegato, aggiungo sempre io, ad un ruolo marginale e solo per "geek" doc).
Purtroppo le aziende, nei casi in cui abbiano capito l'importanza della comunicazione digitale, non hanno comunque saputo adattare i loro organigramma e continuano a lavorare per compartimenti stagni dove, molto spesso, il digitale continua ad essere percepito come l'ultima ruota del carro della comunicazione. Solamente alcune, tra le più illuminate, hanno saputo cogliere immediatamente la forza d'urto del cambiamento digitale adattando a questo la loro organizzazione.
Convinzione che la comunicazione digitale non funzioni o paura di perdere posizioni dominanti acquisite?
martedì 1 luglio 2008
ebay condannato in Francia
Notizia di ieri: il noto sito di aste online è stato condannato dal Tribunale del commercio di Parigi a pagare 40 milioni di euro di danni a sei marchi del colosso francese del lusso Lvmh, a cui fanno riferimento celebri griffe dell'abbigliamento (da Luis Vuitton a Fendi, da Marc Jacobs a Kenzo), degli alcolici, della profumeria e della cosmetica, dell'orologeria e altro ancora (fonte Corriere.it).
Il motivo della condanna e del conseguente risarcimento danni è ravvisato nel fatto che, secondo Lvmh, ebay France non ha messo in atto tutte quelle misure ritenute adeguate per prevenire la vendita di merce contraffatta.
Senza entrare nel merito delle decisione del Tribunale, sono rimasto un po' perplesso da questa condanna. Con questo non voglio dire che sia giusta o sbagliata, ma vorrei solamente capire quali misure, secondo Lvmh, sarebbero dovute essere ritenute "adeguate" per contrastare il commercio di merce contraffatta: incentivare le segnalazioni da parte degli acquirenti in caso di ricezione di merce contraffatta, se mai se ne fossero accorti? incentivare i venditori a dichiarare esplicitamente che la merce è contraffatta (follia pura)? cos'altro?
La condanna del "market place", che poi ovviamente dovrà rivalersi sui vendor, potrà servire ad arginare il fenomeno della merce contraffatta o serve solo per fare notizia? Non sarebbe forse meglio cercare di indagare le cause di tanta merce contraffatta per sconfiggere il fenomeno?
Il motivo della condanna e del conseguente risarcimento danni è ravvisato nel fatto che, secondo Lvmh, ebay France non ha messo in atto tutte quelle misure ritenute adeguate per prevenire la vendita di merce contraffatta.
Senza entrare nel merito delle decisione del Tribunale, sono rimasto un po' perplesso da questa condanna. Con questo non voglio dire che sia giusta o sbagliata, ma vorrei solamente capire quali misure, secondo Lvmh, sarebbero dovute essere ritenute "adeguate" per contrastare il commercio di merce contraffatta: incentivare le segnalazioni da parte degli acquirenti in caso di ricezione di merce contraffatta, se mai se ne fossero accorti? incentivare i venditori a dichiarare esplicitamente che la merce è contraffatta (follia pura)? cos'altro?
La condanna del "market place", che poi ovviamente dovrà rivalersi sui vendor, potrà servire ad arginare il fenomeno della merce contraffatta o serve solo per fare notizia? Non sarebbe forse meglio cercare di indagare le cause di tanta merce contraffatta per sconfiggere il fenomeno?
lunedì 30 giugno 2008
Google e il nuovo modo di apprendere
E' cambiato il nostro modo di leggere. Ed è cambiato grazie a internet.
Secondo un articolo di Nicholas Carr sul The Atlantic Monthly, la possibilità di avere a disposizione una mole insostenibile, per il nostro limitato cervello, di informazioni (internet) accessibile in maniera veloce e puntuale (grazie ai motori di ricerca, dove Google sicuramente la fa da padrone) porta ad una modalità di assorbimento delle informazioni in piccoli frammenti e quindi, a detta sua, all'incapacità di assorbire concetti complessi. E quindi, sempre a detta sua, a diventare più stupidi.
Come al solito, i mezzi di informazione ormai allo sbando titolano "Google ci fa diventare più stupidi" non rendendosi conto di quanto, invece, sia stupido l'aver scritto una cosa del genere. Primo, perchè non è dimostrata una correlazione diretta tra le diverse modalità di assorbimento delle informazioni e la stupidità; secondo perchè il focus dovrebbe andare verso la capacità di qualsiasi motore di ricerca (e non solo di Google) di aprire le porte dell'informazione ed è la mole delle informazioni che ci porta ad assorbirle in maniera diversa, non il motore di ricerca che ci fa arrivare alle informazioni; terzo, perchè non valorizza l'apporto all'accesso dell'informazione che è stato possibile proprio grazie ai motori di ricerca e a Google in particolare, visto il suo market-share.
Vi siete mai fermati a riflettere su cosa sarebbe internet senza i motori di ricerca? Forse in quel caso diventeremo stupidi a cercare le informazioni.
venerdì 27 giugno 2008
Radiohead e i new media
Giusto una settimana fa ero a Milano per il concerto dei Radiohead, un concerto che difficilmente dimenticherò per il gruppo in se, per la loro bravura live, per la compagnia e per una serie di altre cose che difficilmente si riesce ad incatenare a parole in un testo.
Ho da poco ricevuto la newsletter che mi avvisa che i Radiohead hanno rilasciato il 24 giugno scorso 10 live video e che questi live video sono disponibili in esclusiva su iTunes.
L'uscita dell'ultimo lavoro della band di Thom Yorke, In rainbows, ha fatto molto parlare per via del fatto che fosse possibile acquistarlo solamente online (e fin qui niente di nuovo, almeno così la penso io) e, soprattutto (e qui sta la vera novità), per il fatto di lasciare liberi gli utenti di decidere il valore del loro acquisto.
Come si poteva immaginare, la decisione di York & Co. è stata unanimemente condannata da chi ha visto in questa mossa un attacco ad un sistema di potere che per far arrivare musica alla gente utilizza un processo industriale allucinante che grava completamente sull'utente finale.
Sembrerà un pensiero sentito e risentito, ma secondo me è importante fermarsi a riflettere sulla potenza dei media digitali nell'accorciare il processo e nel facilitare il ritorno ad un rapporto "diretto" seppure digitale tra produttore e consumatore. Che sia l'inizio della fine dell'industria discografica così come la conosciamo? Tremate, intermediari che vi siete arricchiti in questi anni, tremate.
Foto: repubblica.it
Ho da poco ricevuto la newsletter che mi avvisa che i Radiohead hanno rilasciato il 24 giugno scorso 10 live video e che questi live video sono disponibili in esclusiva su iTunes.
L'uscita dell'ultimo lavoro della band di Thom Yorke, In rainbows, ha fatto molto parlare per via del fatto che fosse possibile acquistarlo solamente online (e fin qui niente di nuovo, almeno così la penso io) e, soprattutto (e qui sta la vera novità), per il fatto di lasciare liberi gli utenti di decidere il valore del loro acquisto.
Come si poteva immaginare, la decisione di York & Co. è stata unanimemente condannata da chi ha visto in questa mossa un attacco ad un sistema di potere che per far arrivare musica alla gente utilizza un processo industriale allucinante che grava completamente sull'utente finale.
Sembrerà un pensiero sentito e risentito, ma secondo me è importante fermarsi a riflettere sulla potenza dei media digitali nell'accorciare il processo e nel facilitare il ritorno ad un rapporto "diretto" seppure digitale tra produttore e consumatore. Che sia l'inizio della fine dell'industria discografica così come la conosciamo? Tremate, intermediari che vi siete arricchiti in questi anni, tremate.
Foto: repubblica.it
mercoledì 25 giugno 2008
Markets are conversations... e allora la relazione che c'entra?
Ho partecipato in questi giorni ad una discussione molto interessante, lanciata da Marco Cordioli su Mlist, sul tema delle "conversazioni" e sugli sforzi che le aziende pongono in essere per cercare di instaurare una conversazione, e una relazione, tra azienda e clienti o potenziali tali.
Come riportato al punto 1 del Cluetrain Manifesto, "markets are conversations". E su questo credo che nessuno possa obiettare che non lo siano. Ma da qui ad affermare che da una conversazione si debba passare ad una relazione di tempo, e di contenuti, ce ne passa.
Vorrei riprendere questo argomento partendo dal mio intervento su Mlist. Io credo che il problema sia legato al concetto stesso di relazione che, quando passa a livello aziendale, assume dei connotati "particolari" che lo allontano dalla relazione che si instaura tra due "entità" sullo stesso piano. Relazione che presuppone uno "scambio" tra le due entità che va al di là della semplice conversazione.
E questo tipo di relazione tra un'azienda e un prospect non potrà mai esserci perchè, senza troppi giri di parole, non dimentichiamoci che le aziende hanno come obiettivo ultimo quello di vendere i propri prodotti e non certo quello di farsi invitare a cena. IMHO instaurare quella che le aziende chiamano una relazione non è altro che un modo diverso di entrare in contatto con potenziali clienti con l'obiettivo ultimo di cui parlavo prima: anni fa, e qualcuno lo fa ancora, si sparava nel mucchio sperando di colpire il target giusto con campagna TV e simili (io azienda parlo a te stupido consumatore), ora si spara un po' meno nel mucchio e si cerca di relazionarsi con i consumatori (io azienda ho capito che te consumatore tanto stupido non sei e decido di conversare con te provando ad instaurare una relazione, ma non dimentico mai il mio obiettivo).
Una provocazione: quando tutte le aziende avranno instaurato relazioni con i propri potenziali clienti, si tornerà indietro o ci troveremo a dover declinare milioni di inviti a cena?
Come riportato al punto 1 del Cluetrain Manifesto, "markets are conversations". E su questo credo che nessuno possa obiettare che non lo siano. Ma da qui ad affermare che da una conversazione si debba passare ad una relazione di tempo, e di contenuti, ce ne passa.
Vorrei riprendere questo argomento partendo dal mio intervento su Mlist. Io credo che il problema sia legato al concetto stesso di relazione che, quando passa a livello aziendale, assume dei connotati "particolari" che lo allontano dalla relazione che si instaura tra due "entità" sullo stesso piano. Relazione che presuppone uno "scambio" tra le due entità che va al di là della semplice conversazione.
E questo tipo di relazione tra un'azienda e un prospect non potrà mai esserci perchè, senza troppi giri di parole, non dimentichiamoci che le aziende hanno come obiettivo ultimo quello di vendere i propri prodotti e non certo quello di farsi invitare a cena. IMHO instaurare quella che le aziende chiamano una relazione non è altro che un modo diverso di entrare in contatto con potenziali clienti con l'obiettivo ultimo di cui parlavo prima: anni fa, e qualcuno lo fa ancora, si sparava nel mucchio sperando di colpire il target giusto con campagna TV e simili (io azienda parlo a te stupido consumatore), ora si spara un po' meno nel mucchio e si cerca di relazionarsi con i consumatori (io azienda ho capito che te consumatore tanto stupido non sei e decido di conversare con te provando ad instaurare una relazione, ma non dimentico mai il mio obiettivo).
Una provocazione: quando tutte le aziende avranno instaurato relazioni con i propri potenziali clienti, si tornerà indietro o ci troveremo a dover declinare milioni di inviti a cena?
Etichette:
Cluetrain Manifesto,
conversazioni,
Mlist,
relazione
martedì 24 giugno 2008
Mobile Advertising
Si parla sempre più spesso del futuro dell'advertising e di come questo futuro sarà dominato dal mobile, il nostro vecchio e caro telefonino (ma guai ormai a chiamarlo così).
Leggevo oggi un articolo di Mike Baker su iMedia Connection che tesseva le lodi del mobile advertising e di come rispetto all'advertising tradizionale, sia TV che internet, le web page mobile non sono cosi "affollate" e di conseguenza ciascuna advertising unit diventa più significativa per il consumatore.
Altri interessanti articoli sullo sviluppo del mobile ed in particolare del mobile advertising nell'area BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) è possibile leggerli su eMarketer e sul sito web dell'Atelier.
Tutto questo mi ha portato alla seguente riflessione: dal momento che si stanno saturando sia gli spazi che le menti dei consumatori, è necessario che l'advertising trovi nuovi sbocchi per continuare a sopravvivere. Sbocchi che ovviamente in questo momento si indirizzano in un'area che ancora non è stata sfruttata a pieno, quella del mobile. E quando questa sarà satura? Ci saranno altri media da utilizzare in un ciclo continuo di aggressione, copertura, saturazione o tutto questo porterà ad un nuovo concetto di advertising, che almeno fino ad ora non si è visto?
Leggevo oggi un articolo di Mike Baker su iMedia Connection che tesseva le lodi del mobile advertising e di come rispetto all'advertising tradizionale, sia TV che internet, le web page mobile non sono cosi "affollate" e di conseguenza ciascuna advertising unit diventa più significativa per il consumatore.
Altri interessanti articoli sullo sviluppo del mobile ed in particolare del mobile advertising nell'area BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) è possibile leggerli su eMarketer e sul sito web dell'Atelier.
Tutto questo mi ha portato alla seguente riflessione: dal momento che si stanno saturando sia gli spazi che le menti dei consumatori, è necessario che l'advertising trovi nuovi sbocchi per continuare a sopravvivere. Sbocchi che ovviamente in questo momento si indirizzano in un'area che ancora non è stata sfruttata a pieno, quella del mobile. E quando questa sarà satura? Ci saranno altri media da utilizzare in un ciclo continuo di aggressione, copertura, saturazione o tutto questo porterà ad un nuovo concetto di advertising, che almeno fino ad ora non si è visto?
domenica 22 giugno 2008
Mobiquità
Eccomi di ritorno dopo una settimana di assenza dal blog. Viaggi di lavoro ed altre amenità varie.
Ed eccomi per parlare di un argomento che in questi giorni mi ha fatto riflettere: la mobiquità.
Ho letto la parola mobiquità sul libro "Comment le web change le monde. L'alchimies des multitudines" di Francis Pisani e Dominique Piotet. Mobiquità non è altro che la crasi tra le parole mobilità e ubiquità (ed è un termine suggerito da un consulente, Xavier Dalloz). Una parola che a me spaventa un pochino perchè mi fa venire in mente, non so per quale motivo, la possibilità di essere "rintracciato" (raggiunto, per usare un termine che va molto di moda in questo periodo) in qualunque luogo e in qualunque momento.
Giovedi mattina ero a Linate e, mentre aspettavo ancora assonnato di imbarcarmi, scrutavo da sotto gli occhiali tutti questi "manager" stressati con i loro BlackBerry sulla mano destra, i telefonini sulla mano sinistra e la borsa con il PC a tracollo che parlavano, discutevano, si animavano e sbraitavano... ovviamente parlando di lavoro. Alle sette di mattina?
E' questa la mobiquità di cui si parla? Il fatto di occupare quel poco tempo libero che ormai abbiamo (che potremmo sfruttare stando seduti sulle poltroncine dell'aeroporto senza fare assolutamente niente) leggendo e rispondendo alle mail, guardando il pc e parlando di lavoro? Siamo sicuri che tutto questo migliori la nostra qualità di vita? Ditemi la vostra perchè comincio seriamente a dubitare di tutto questo.
Ed eccomi per parlare di un argomento che in questi giorni mi ha fatto riflettere: la mobiquità.
Ho letto la parola mobiquità sul libro "Comment le web change le monde. L'alchimies des multitudines" di Francis Pisani e Dominique Piotet. Mobiquità non è altro che la crasi tra le parole mobilità e ubiquità (ed è un termine suggerito da un consulente, Xavier Dalloz). Una parola che a me spaventa un pochino perchè mi fa venire in mente, non so per quale motivo, la possibilità di essere "rintracciato" (raggiunto, per usare un termine che va molto di moda in questo periodo) in qualunque luogo e in qualunque momento.
Giovedi mattina ero a Linate e, mentre aspettavo ancora assonnato di imbarcarmi, scrutavo da sotto gli occhiali tutti questi "manager" stressati con i loro BlackBerry sulla mano destra, i telefonini sulla mano sinistra e la borsa con il PC a tracollo che parlavano, discutevano, si animavano e sbraitavano... ovviamente parlando di lavoro. Alle sette di mattina?
E' questa la mobiquità di cui si parla? Il fatto di occupare quel poco tempo libero che ormai abbiamo (che potremmo sfruttare stando seduti sulle poltroncine dell'aeroporto senza fare assolutamente niente) leggendo e rispondendo alle mail, guardando il pc e parlando di lavoro? Siamo sicuri che tutto questo migliori la nostra qualità di vita? Ditemi la vostra perchè comincio seriamente a dubitare di tutto questo.
venerdì 13 giugno 2008
Firefox Downloading Day
Mozilla Firefox è riuscito a diventare il browser più utilizzato dopo lo stranoto Internet Explorer.
In occasione del lancio della versione 3.0 del browser, prevista per il 17 giugno prossimo, la Fondazione Mozilla ha lanciato una singolare sfida: raggiungere entro le 24 ore dal lancio il maggior numero di download.
Parteciperò sicuramente all'iniziativa (Mike Schroepfer, vice presidente Engineering della Mozilla Corporation, ha riassunto benissimo in questa intervista i motivi per cui milioni di persone in tutto il mondo hanno scaricato Firefox) e invito tutti a farlo, non tanto per fare battaglie di religione contro Microsoft (che credo tutti dobbiamo ringraziare se non altro per il fatto di aver alfabetizzato al personal computere milioni di persone), ma perchè ritengo che Firefox sia attualmente il miglior browser in circolazione. Se uscirà una versione di Explorer migliore di Firefox, sicuramente userò quella.
Si è letto e si è sentito molto parlare di apertura, chiusura, software proprietari etc. etc. A mio modo di vedere in tutte queste interessanti discussioni si è sempre perso di vista l'utente, a cui non interessano minimante queste "battaglie" di pensiero e a cui invece interessa solamente di utilizzare lo strumento che ritiene migliore per lui in quel dato momento, dati i suoi obiettivi.
Come finiranno tutte questioni? Ci saranno solo sistemi "aperti"? I sistemi proprietari e blindati alla fine si apriranno? Non lo so. Solo il tempo saprà indicarcelo.
Per il momento noi utilizziamo Windows, navighiamo con Firefox e, a breve, telefoneremo con l'iPhone.
Immagine: repubblica.it
martedì 10 giugno 2008
iPhone - noniPhone... questo è il problema
Si è fatto un gran parlare in questi ultimi mesi del melafonino di casa Apple. E su una infinità di tematiche (sim, sblocco, prezzi, applicazioni, novità, accordi e bla bla) che è difficile ricordarle tutte.
Siamo da poco usciti dal keynote, sottotono, del WWDC, come ci ricorda Blogosfere che non ha fatto altro altro che alimentare voci e voci sulla commercializzazione del noto aggeggio in Italia e sul costo che dovrà sostenere chi vorrà dotarsi di questo splendido aggeggio (interessante e divertente l'iniziativa di FuturoProssimo).
E si, avete letto bene: splendido aggeggio.
Ed è proprio questo il punto che volevo portare all'attenzione: in tutti questi mesi a mio modo di vedere ci si è concentrati troppo sulle features di questo oggetto (sigle su sigle su sigle) trascurando di parlare della vera forza innovativa che ha fatto del gioiellino di casa Apple un fenomeno a livello mondiale in grado di rosicchiare quote di mercato ad una velocità impensabile per un mercato quale quello dei cellulari: la capacità di scardinare il concetto stesso di telefonino. Pensate a questa cosa: l'iPhone lo chiamereste mai telefonino? Avete mai sentito qualcuno che ha l'iPhone chiamarlo telefonino? Ed infatti di telefonino non stiamo affatto parlando.
Ma fino a qui niente di nuovo, mi potreste obiettare. In fondo, gli smartphone non sono un telefonino e Apple non si è inventata niente. E' vero, Apple non si è inventata niente (in termini di funzionalità), ma è stata talmente brava a lavorare sulla usabilità di quell'oggetto che è stata in grado di trasformare i gesti routinari tipici dell'utilizzo di un telefonino in una vera e propria esperienza. Fino ad un anno fa era impensabile acquistare un "telefonino" e non trovare nella sua scatola un manuale di istruzioni. L'iPhone non ha manuale di istruzioni.
Insomma, un iPhone è come un tatuaggio: una volta che lo hai, difficilmente puoi toglierlo.
venerdì 6 giugno 2008
Siti web e creatività
Cosa è la creatività su internet? Esiste? Nel 2008 si può ancora parlare di creatività o bisogna concentrarsi sulla cosa più importante, il contenuto? Assisteremo ad una graduale scomparsa della creatività? I siti saranno sempre più uguali gli uni agli altri in termini di usability ed elementi di fruizione? Le agenzie creative dovranno riconvertirsi e lo sapranno fare?
Vorrei sentire la vostra opinione...
Vorrei sentire la vostra opinione...
mercoledì 4 giugno 2008
Advertising: ha ancora senso parlare di off e online?
Leggevo qualche giorno fa che l'advertising online, quando tende ad imitare i formati della pubblicità televisiva e stampata è destinato a fallire. Affermazione abbastanza ovvia, a mio modo di vedere.
L'articolo letto mi ha richiamato alla memoria la dicotomia tra off e online che da anni emerge all'interno della aziende. Che l'advertising online abbia per anni "imitato" la comunicazione offline è frutto di una scarsa o inesistente cultura dei vari responsabili adv (a cui era affidato anche l'ingrato compito di pianificare sul web) che, chiusi nel loro miope modo di concepire la comunicazione, hanno teso per portare sul web modelli che conoscevano e che gli faceva dormire sonni tranquilli. E tutto questo ha contribuito ad accentuare la dicotomia tra offline e online. Banner che tutto sembravano fuorchè progettati per svolgere il loro lavoro, creatività keywords che sembravano proclami autoritari, siti web innavigabili... ho visto di tutto.
Potremmo parlare per ore dei differenti obiettivi che bisogna aver ben chiari quando si progetta e si pianifica una campagna di comunicazione online, ma non è l'argomento del post.
Quello che a me da fastidio è che ancora si fa distinzione tra advertising offline e advertising online (e purtroppo è una cosa che è emersa anche all'ultimo IAB che si è svolto a Roma i primi di maggio) e ancora non si è capito che bisogna ragionare in maniera olistica, in maniera integrata tra tutti i media di comunicazione, ciascuno con obiettivi e ruoli definiti e ben identificati nell'ottica di un "disegno" complessivo.
Spero davvero che ci si renda conto che continuare a parlare di off e online come di due mondi separati non fa altro che fare ancora più male alla comunicazione offline, che non naviga certo in buone acque.
L'articolo letto mi ha richiamato alla memoria la dicotomia tra off e online che da anni emerge all'interno della aziende. Che l'advertising online abbia per anni "imitato" la comunicazione offline è frutto di una scarsa o inesistente cultura dei vari responsabili adv (a cui era affidato anche l'ingrato compito di pianificare sul web) che, chiusi nel loro miope modo di concepire la comunicazione, hanno teso per portare sul web modelli che conoscevano e che gli faceva dormire sonni tranquilli. E tutto questo ha contribuito ad accentuare la dicotomia tra offline e online. Banner che tutto sembravano fuorchè progettati per svolgere il loro lavoro, creatività keywords che sembravano proclami autoritari, siti web innavigabili... ho visto di tutto.
Potremmo parlare per ore dei differenti obiettivi che bisogna aver ben chiari quando si progetta e si pianifica una campagna di comunicazione online, ma non è l'argomento del post.
Quello che a me da fastidio è che ancora si fa distinzione tra advertising offline e advertising online (e purtroppo è una cosa che è emersa anche all'ultimo IAB che si è svolto a Roma i primi di maggio) e ancora non si è capito che bisogna ragionare in maniera olistica, in maniera integrata tra tutti i media di comunicazione, ciascuno con obiettivi e ruoli definiti e ben identificati nell'ottica di un "disegno" complessivo.
Spero davvero che ci si renda conto che continuare a parlare di off e online come di due mondi separati non fa altro che fare ancora più male alla comunicazione offline, che non naviga certo in buone acque.
martedì 3 giugno 2008
Il DSM e l'internet addiction
Il Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders («manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali»), noto anche con l'acronimo DSM, è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici e psichiatri di tutto il mondo. La prima edizione del manuale risale al 1952 e l'ultima (il DSM IV, attualmente in fase di revisione) risale al 1994. Il manuale raccoglie attualmente più di 370 disturbi mentali, descrivendoli in base alla prevalenza di determinati sintomi (per lo più quelli osservabili nel comportamento dell'individuo, ma non mancano riferimenti alla struttura dell'Io e della personalità). Fonte: Wikipedia
Nella prossima edizione del DSM (il V), che dovrebbe essere pubblicato a maggio del 2012, probabilmente verrà introdotta la "dipendenza da internet" (nel 2012 di cose ne cambieranno... si potrà parlare ancora di internet? staremo a vedere).
Secondo Kimberly Young, che con Ivan Goldberg (colui che ha coniato il termine Internet Addiction nel 1997) sta facendo pressione affinché l'Internet Addiction Disorder (IAD) venga inserito nel DSM V, esistono 5 tipi di dipendenza:
Nella prossima edizione del DSM (il V), che dovrebbe essere pubblicato a maggio del 2012, probabilmente verrà introdotta la "dipendenza da internet" (nel 2012 di cose ne cambieranno... si potrà parlare ancora di internet? staremo a vedere).
Secondo Kimberly Young, che con Ivan Goldberg (colui che ha coniato il termine Internet Addiction nel 1997) sta facendo pressione affinché l'Internet Addiction Disorder (IAD) venga inserito nel DSM V, esistono 5 tipi di dipendenza:
- Dipendenza cibersessuale;
- Dipendenza ciber-relazionale;
- Net Gaming;
- Sovraccarico cognitivo;
- Computer gaming (che è differente dal net gaming poichè non interattivo e non giocato in rete; e allora mi chiedo perchè inserirlo come IAD).
mercoledì 28 maggio 2008
eBay e le nostre Poste
E' notizia di qualche giorno fa che molti eBayer non spediscono in Italia perchè il nostro sistema postale è considerato inefficiente. Pacchi che non arrivano o arrivano estremamente in ritardo, dipendenti postali che aprono i pacchi e condizioni di spedizione che raramente sono rispettate. Insomma, siamo un paese con un sistema di spedizione non degno di chiamarsi tale.
Personalmente uso eBay da qualche anno come acquirente e ho sempre preferito utilizzare i corrieri privati che, purtroppo, anche io ritengo più affidabili (soprattutto perchè hanno un sistema di tracking che ti consente di sapere esattamente dove si trova la merce acquistata). Di tutta questa storia, oltre al fatto di avere un servizio postale inefficiente, quello che mi da più fastidio è che in un sistema di e-commerce dove potenzialmente non esistono limitazioni in termini di accessibilità ai prodotti, queste limitazioni poi vengano create da sistemi "esterni" all'e-commerce con un danno per gli utenti e per l'e-commerce stesso. E mettiamo un'altra tacca al digital divide. Per non parlare del danno d'immagine al sistema Italia, che già non naviga in buone acque, che ne deriva.
Voi comprereste da un venditore italiano che spedisce con le Poste?
Personalmente uso eBay da qualche anno come acquirente e ho sempre preferito utilizzare i corrieri privati che, purtroppo, anche io ritengo più affidabili (soprattutto perchè hanno un sistema di tracking che ti consente di sapere esattamente dove si trova la merce acquistata). Di tutta questa storia, oltre al fatto di avere un servizio postale inefficiente, quello che mi da più fastidio è che in un sistema di e-commerce dove potenzialmente non esistono limitazioni in termini di accessibilità ai prodotti, queste limitazioni poi vengano create da sistemi "esterni" all'e-commerce con un danno per gli utenti e per l'e-commerce stesso. E mettiamo un'altra tacca al digital divide. Per non parlare del danno d'immagine al sistema Italia, che già non naviga in buone acque, che ne deriva.
Voi comprereste da un venditore italiano che spedisce con le Poste?
lunedì 26 maggio 2008
Internet e 3D
Tutti, o quasi, conosciamo Second Life.
Tutti, o quasi, abbiamo sentito e letto di iniziative su Second Life.
Molti, o quasi, hanno fatto iniziative su Second Life.
Pochi sanno veramente, ma molti credono di saperlo, cosa sia Second Life.
E ancora meno lo hanno utilizzato per quello che, allo stato dell'arte, è: un mero media (mezzo) di comunicazione e non un mercato. E i dati quantitativi mi danno ragione perchè gli utenti registrati e gli avatar attivi in Italia sono troppo bassi per poterlo considerare un mercato. Insomma, SL è un media alla stessa stregua di TV, Radio, Stampa, etc. Così la vedo io.
Second Life (a proposito, avete notato che da qualche tempo i media si sono quasi dimenticati di SL?) mi è venuto in mente leggendo un articolo di Federico Cella dal titolo "Internet in 3 dimensioni" che, come giustamente riporta, è un'idea "ancora racchiusa in vari progetti più immaginifici che realmente funzionanti".
Il futuro di internet è sicuramente quello della tridimensionalità, non c'è dubbio. Ma sono ancora molti i problemi "strutturali" da risolvere prima di poter vedere una vera internet, sempre se continuerà a chiamarsi così, in 3D. Ci vorrà del tempo prima di arrivare ad uno standard di comunicazione che consentirà di linkare mondi in 3D tra loro e di "spostarsi" tra questi mondi. Ci vorrà del tempo prima che tutti saranno dotati di una connessione superveloce. Ci vorrà del tempo prima che internet sia parte della vita di tutti.
Ma noi sappiamo aspettare.
Tutti, o quasi, abbiamo sentito e letto di iniziative su Second Life.
Molti, o quasi, hanno fatto iniziative su Second Life.
Pochi sanno veramente, ma molti credono di saperlo, cosa sia Second Life.
E ancora meno lo hanno utilizzato per quello che, allo stato dell'arte, è: un mero media (mezzo) di comunicazione e non un mercato. E i dati quantitativi mi danno ragione perchè gli utenti registrati e gli avatar attivi in Italia sono troppo bassi per poterlo considerare un mercato. Insomma, SL è un media alla stessa stregua di TV, Radio, Stampa, etc. Così la vedo io.
Second Life (a proposito, avete notato che da qualche tempo i media si sono quasi dimenticati di SL?) mi è venuto in mente leggendo un articolo di Federico Cella dal titolo "Internet in 3 dimensioni" che, come giustamente riporta, è un'idea "ancora racchiusa in vari progetti più immaginifici che realmente funzionanti".
Il futuro di internet è sicuramente quello della tridimensionalità, non c'è dubbio. Ma sono ancora molti i problemi "strutturali" da risolvere prima di poter vedere una vera internet, sempre se continuerà a chiamarsi così, in 3D. Ci vorrà del tempo prima di arrivare ad uno standard di comunicazione che consentirà di linkare mondi in 3D tra loro e di "spostarsi" tra questi mondi. Ci vorrà del tempo prima che tutti saranno dotati di una connessione superveloce. Ci vorrà del tempo prima che internet sia parte della vita di tutti.
Ma noi sappiamo aspettare.
venerdì 23 maggio 2008
Girl Geek Dinners
Leggo dal sito del Corriere che alcune "smanettone", per usare un termine a noi caro, hanno dato vita ad una community online con lo scopo di far conoscere e unire le donne che lavorano nel settore dell’hi-tech.
Al grido di "No Donna, No Party!" organizzano cene per creare community di donne che lavorano e sono appassionate di hi-tech a cui gli uomini possono partecipare, ma solo come invitati speciali di una donna e in numero limitato.
Credo profondamente nelle community e nella loro forza di aggregare persone con interessi comuni e, soprattutto, credo nella loro forza delle community di condividere e diffondere idee. Ma odio profondamente quando queste community discriminano sulla base di attributi demografici.
Se proprio volevano sdoganare le "female hi-tech geeks", perchè non creare una community sull'interesse nell'hi-tech e non una community di sole donne? Perchè ce ne sono tante? Perchè così non avrebbe fatto notizia? Con una community come Girl Geek Dinners penso che si raggiunga un obiettivo completamente opposto a quello di partenza: ghettizzare le donne appassionate di hi-tech.
Al grido di "No Donna, No Party!" organizzano cene per creare community di donne che lavorano e sono appassionate di hi-tech a cui gli uomini possono partecipare, ma solo come invitati speciali di una donna e in numero limitato.
Credo profondamente nelle community e nella loro forza di aggregare persone con interessi comuni e, soprattutto, credo nella loro forza delle community di condividere e diffondere idee. Ma odio profondamente quando queste community discriminano sulla base di attributi demografici.
Se proprio volevano sdoganare le "female hi-tech geeks", perchè non creare una community sull'interesse nell'hi-tech e non una community di sole donne? Perchè ce ne sono tante? Perchè così non avrebbe fatto notizia? Con una community come Girl Geek Dinners penso che si raggiunga un obiettivo completamente opposto a quello di partenza: ghettizzare le donne appassionate di hi-tech.
Solo stupido snobismo?
Si penso di si. Mi riferisco a quell'atteggiamento, a mio parer stupido, di quegli intellettuali (loro così si definiscono... io mi dissocio) che snobbano tutto ciò che sia tecnologia, tuttò ciò che sia nuovo, tutto ciò che non conoscono... essenzialmente si vantano di "non saper fare", di essere rimasti dietro nel tempo, come se appunto questo fosse un motivo di vanto e non un motivo per riflettere, ripensarsi e rimettersi in carreggiata.
Non si dovrebbe distinguersi perchè anticipatori? Invece no, questi signori, cercando di nascondere (perchè di questo si tratta) il loro ritardo all'appuntamento con la competenza, si trincerano dietro il mantello della nostalgia. Internet diviene per loro sede di tutto il brutto, del male, della virtualità che ci allontana dalle cose belle e reali della vita... (il concetto di realtà contrapposto a quello di virtualità credo meriti un post ad hoc).
Cari vecchi (più nell'anima che all'anagrafe), leggete, confrontatevi, toglietevi quel frack pieno di polvere, fate un cambio stagione al cervello, e capirete quante cose vi state perdendo... forse smetterete anche di autodefinirvi intellettuali...
vLebowsky
Non si dovrebbe distinguersi perchè anticipatori? Invece no, questi signori, cercando di nascondere (perchè di questo si tratta) il loro ritardo all'appuntamento con la competenza, si trincerano dietro il mantello della nostalgia. Internet diviene per loro sede di tutto il brutto, del male, della virtualità che ci allontana dalle cose belle e reali della vita... (il concetto di realtà contrapposto a quello di virtualità credo meriti un post ad hoc).
Cari vecchi (più nell'anima che all'anagrafe), leggete, confrontatevi, toglietevi quel frack pieno di polvere, fate un cambio stagione al cervello, e capirete quante cose vi state perdendo... forse smetterete anche di autodefinirvi intellettuali...
vLebowsky
giovedì 22 maggio 2008
One Laptop Per Child (OLPC)
L'organizzazione non-profit creata per sovraintendere all'iniziativa volta alla progettazione, produzione e distribuzione di laptop a basso costo (da 100 dollari) per fornire a ogni bambino del mondo, in particolare ai bambini dei paesi in via di sviluppo, l'accesso alla conoscenza e alle moderne forme educative.
OLPC è stata fondata da varie organizzazioni sponsor, tra i quali Google, Red Hat, AMD, BrightStar, News Corp, Nortel Networks (ciascuna compagnia ha donato due millioni di dollari) ed anche il MIT Media Lab è coinvolto nel progetto. (Fonte: Wikipedia)
Apprendo oggi dal sito Blogosfere che il computer di OLPC è rinato come un pc ultra low-cost con un doppio touch screen e che costerà solamente 75 dollari quando verrà commercializzato (nel 2010). Bellissima notizia!
Sicuramente l'iniziativa è un'iniziativa lodevole. Ma mi chiedo: serve davvero diffondere una cultura digitale in paesi che, forse, hanno problemi ben più importanti da risolvere a monte? Non sarà tutta un'operazione mediatica, visti anche i finanziatori? O forse, come credo, l'accesso all'informazione potrà contribuire a "svegliare" le coscienze di quel paese, come fosse una sorta di "finestra sul mondo"?
OLPC è stata fondata da varie organizzazioni sponsor, tra i quali Google, Red Hat, AMD, BrightStar, News Corp, Nortel Networks (ciascuna compagnia ha donato due millioni di dollari) ed anche il MIT Media Lab è coinvolto nel progetto. (Fonte: Wikipedia)
Apprendo oggi dal sito Blogosfere che il computer di OLPC è rinato come un pc ultra low-cost con un doppio touch screen e che costerà solamente 75 dollari quando verrà commercializzato (nel 2010). Bellissima notizia!
Sicuramente l'iniziativa è un'iniziativa lodevole. Ma mi chiedo: serve davvero diffondere una cultura digitale in paesi che, forse, hanno problemi ben più importanti da risolvere a monte? Non sarà tutta un'operazione mediatica, visti anche i finanziatori? O forse, come credo, l'accesso all'informazione potrà contribuire a "svegliare" le coscienze di quel paese, come fosse una sorta di "finestra sul mondo"?
martedì 20 maggio 2008
Post #1
E' difficile decidere cosa scrivere come primo post in un blog che vuole, o vorrebbe, parlare di virtualità.
Ci ho pensato un pochino e poi alla fine ho deciso: perchè non scrivere proprio di quello di cui il blog vuole discutere: la virtualità!
E già, parliamo di virtualità.
Esiste "davvero" la virtualità di cui tanto si parla o è solo un altro modo per indicare una realtà in qualche modo "diversa", una realtà che ci coinvolge in termini di percezione non più tattile? Si parla di Second Life (state certi, prima o poi aprirò un post su questo tema), di virtual worlds, di blog, di web 2.0 (etichetta che odio) etc. etc. Ma siamo sicuri che tutto questo sia virtuale? E dov'è il confine, se esiste, tra virtuale e reale. Da dove si genera il virtuale? Quale è il concetto di virtualità?
Se non sono convinto neanche io che la "virtualità" possa esisitere (bella contraddizione nei termini), perchè allora ho deciso di usare proprio questa parola nel nome del mio blog? Vi starete chiedendo.
Semplice: perchè ancora, per quanto mi stia sforzando, non ho trovato di meglio.
Potremmo parlare di "vrealtà", di "viraltà" o semplicemente di "realtà"?
Ci ho pensato un pochino e poi alla fine ho deciso: perchè non scrivere proprio di quello di cui il blog vuole discutere: la virtualità!
E già, parliamo di virtualità.
Esiste "davvero" la virtualità di cui tanto si parla o è solo un altro modo per indicare una realtà in qualche modo "diversa", una realtà che ci coinvolge in termini di percezione non più tattile? Si parla di Second Life (state certi, prima o poi aprirò un post su questo tema), di virtual worlds, di blog, di web 2.0 (etichetta che odio) etc. etc. Ma siamo sicuri che tutto questo sia virtuale? E dov'è il confine, se esiste, tra virtuale e reale. Da dove si genera il virtuale? Quale è il concetto di virtualità?
Se non sono convinto neanche io che la "virtualità" possa esisitere (bella contraddizione nei termini), perchè allora ho deciso di usare proprio questa parola nel nome del mio blog? Vi starete chiedendo.
Semplice: perchè ancora, per quanto mi stia sforzando, non ho trovato di meglio.
Potremmo parlare di "vrealtà", di "viraltà" o semplicemente di "realtà"?
Iscriviti a:
Post (Atom)